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Seirullo, l’ex preparatore ideologo del Barcellona: «Il passaggio è dialogo, oggi si gioca con gli algoritmi»

“Messi capisce prima il gioco, e decide quando intervenire solo se è efficace. Oggi non guardo il calcio, gli allenatori hanno troppa paura di non vincere”

Seirullo, l’ex preparatore ideologo del Barcellona: «Il passaggio è dialogo, oggi si gioca con gli algoritmi»
Barcellona (Spagna) 17/04/2019 - Champions League / Barcellona-Manchester United / foto Imago/Image Sport nella foto: Lionel Messi

A Barcellona c’è un professore di nome Paco Seirullo, 78 anni, venerato come un guru da alcuni grandi del calcio. Uno su tutti: Pep Guardiola. Guardiola è stato un suo allievo. Seirullo veniva dall’atletica, poi ha lavorato per decenni come preparatore atletico del Barcellona, prima ​​​​nella pallamano poi nel calcio. È stato licenziato nel 2022 per far quadrare i conti inguaiati del club. E’ considerato uno di quelli che hanno contribuito a scrivere “il Dna del Barça”. Lui, a scanso di equivoci, ci ha scritto un libro, chiamandolo proprio così..

E’ un personaggio, molto filosofo, sicuramente interessante. L’ha intervistato la Süddeutsche Zeitung.

Il professor Seirullo dice che “il Barça è speciale perché unisce una certa identità di gioco al catalanismo. E questo ha molto a che fare con la Masia. Lì si coltivavano non solo gli orti, ma anche il catalanismo e la propria visione del mondo. Imparano il rispetto: per la società, per i giocatori con cui formano una squadra. Non si tratta solo di presentarsi agli allenamenti. Giocare un passaggio può dimostrare amicizia e trasferire responsabilità”.

Dice chei veri grandi giocatori sanno cosa succederà dopo il terzo o quarto passaggio. E su questa base decidono se continuare a partecipare oppure no. Prendi Lionel Messi. Lo vedi spesso passeggiare per il campo, si potrebbe pensare: svogliato. In realtà osserva e vede tutto e interviene quando è sicuro di poter essere efficace. Affascinante! Sembra che questo gli venga naturale. Penso che sia perché era così piccolo e fragile nella sua infanzia che si è abituato all’osservazione come un habitus”. “Leo ha le caratteristiche di un goleador. Non difende. Ha le capacità per essere un killer. Ma non come quelli che abbiamo portato dentro da fuori e piantato in area di rigore. No no! Lui segna in modo altruista”.

Traccia un originale parallelismo tra le origini del calcio tradizionale e il modello burocratico di Max Weber: “La necessità di gerarchia nel rapporto tra allenatori e giocatori; la specializzazione dei giocatori e la conseguente divisione razionale del lavoro; la professionalizzazione; lo sviluppo di norme burocratiche che portano a sanzioni come calci di punizione e cartellini. Oppure la standardizzazione della formazione e delle routine lavorative”.

E’ stato un ideologo della preparazione fisica “giocosa”: “l’allontanamento dall’allenamento fisico lineare. Invece di correre su per le montagne, i giocatori dovrebbero fare quanti più esercizi possibili con la palla. Gli esercizi devono essere il più vicino possibile alle esigenze della partita di calcio. Se possibile, la forza o la velocità dovrebbero essere rafforzate attraverso esercizi socio-affettivi in ​​cui costruiscono e rafforzano le relazioni interpersonali. Nel gioco nascono cicli autosufficienti. Un passaggio stabilisce un dialogo nel calcio. Oppure, se sono coinvolti più giocatori, una conversazione su cosa dovrebbe accadere. Anche se non ci muoviamo, un nuovo status viene creato semplicemente dal viaggio della palla. Prendiamo l’uno-due: solo dall’angolo con cui passo al mio compagno di squadra, posso capire come voglio riprendere la palla”.

Ovviamente il calcio attuale lo reputa noioso: “Ho guardato un po’ i Mondiali del 2022, ma per il resto seguo il calcio spagnolo solo alla radio. Vedo troppe cose che non mi piacciono. Il calcio inizia a funzionare come un algoritmo. Si vede la paura degli allenatori di non vincere. Vogliono avere la sicurezza che non si ha mai nel gioco e così facendo tolgono la responsabilità ai giocatori. E libertà. Ma bisogna dare loro l’opportunità di identificare ciò che sta accadendo sul campo e, soprattutto, l’opportunità di identificarsi con esso. Perché tutti possano creare qualcosa di diverso, qualcosa di nuovo insieme. Altrimenti uccidi il gioco”.

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