Domani Assemblea di Lega, spaccatura sull’autonomia: De Laurentiis e Lotito contro le colombe. La battaglia è tra “ingrati” e “tengo famiglia”
Serie A, l’autonomia può attendere: quelli che non se la sentono di rompere con Gravina
Una riforma all’italiana, figlia del “tengo famiglia” che da sempre governa tutto ciò che si muove nel nostro Paese. È quel che potrebbe venire fuori nell’Assemblea di Lega in programma domani. In gioco c’è la tanto strombazzata autonomia della Serie A. Nell’anno 2024, un tempo in cui non dovrebbe essere più spiegato l’elementare concetto che il calcio è business, la Serie A (o meglio: una parte della Serie A) vorrebbe autodeterminarsi. Come avviene per la Premier League. Come avviene in Nba. Il giorno del giudizio è il 4 novembre data dell’Assemblea Straordinaria della Figc in cui sembrava che la Lega Serie A dovesse arrivare con un mandato di netta rottura con la Federazione. Ora invece questa conclusione non è così sicura.
Si è creata una frattura. Da un lato, i club che non vogliono più rimanere invischiati in giochi di percentuali, con decisioni fondamentali per l’azienda Serie A da contrattare in Figc col 34% dei Dilettanti, il 20% dell’Assocalciatori e il 10 dell’Assoallenatori. Vorrebbero dare piena attuazione alla legge Mulé che impone un maggior peso per le leghe professionistiche. A capo di questa corrente ci sono Claudio Lotito e Aurelio De Laurentiis da tanti considerati gli unici due presidenti puri della Serie A. Vivono delle loro aziende calcistiche, le gestiscono da vent’anni seguendo criteri che li hanno portati ad essere ferocemente criticati dai loro tifosi. I due non sono sovrapponibili, spesso sono stati su posizioni opposte. Lotito è più politicizzato, De Laurentiis meno. Una volta, vennero persino alle mani. Ma stavolta sono dalla stessa parte: vorrebbero non dover mercanteggiare per consentire alla Serie A di crescere. Vogliono parlare più di business che di politica.
La Serie A e il pantano della politica
Nel frattempo, però, silenziosamente, qualcosa è cambiato. Nel sottosuolo della diplomazia, alcuni club si sono messi al lavoro per evitare la rottura con Gravina e la Federcalcio. E diluire l’autonomia della Serie A. È nata quella che per brevità possiamo definire la linea morbida. Guidata da Inter, Juventus, Atalanta, il Monza di Galliani (il grande tessitore), con al seguito Bologna, Udinese, forse la Roma. L’autonomia, per loro, non sembra più un obiettivo fondamentale. È invece cominciato il gioco dei contrappesi, delle percentuali. Dei compromessi per non scontentare nessuno. Soprattutto per non arrivare a una frattura, allo scontro con Gravina. La Serie A si accontenterebbe di salire al 18% e a 4 consiglieri in Federcalcio.
Un accordo al ribasso che sarebbe mediaticamente contrabbandato come un passaggio importante sulla strada dell’autonomia. Nella realtà non modificherebbe nulla. Del resto è anche complesso scardinare da un giorno all’altro un sistema sedimentato da cinquant’anni. Il calcio, e quindi anche la Serie A, in Italia è gestito con mentalità politica e non segue i principi del business. È lungo l’elenco di compromessi che chiunque ha dovuto sottoscrivere e non tutti se la sentono di portare avanti una battaglia aspra con la Figc guidata da Gravina.
Il fronte delle colombe che non vuole rompere con Gravina
Gli esempi sono tanti. Adriano Galliani, per dirne una, sa che il Monza è in vendita. Presto non avrà più un ruolo in Serie A. I figli di Berlusconi non vogliono saperne di proseguire. E la mozione degli affetti nei loro confronti non ha sortito risultati. Spinsero Berlusconi in vita a vendere il Milan, figuriamoci il Monza ora che il papà non c’è più. Oppure, come ricordano i beninformati, la Juventus deve tanto al presidente della Federcalcio. In occasione dell’inchiesta plusvalenze che portò alla penalizzazione del club e alle squalifiche di Agnelli e Paratici, la multa è stata modesta rispetto al giro d’affari e alla portata dello scandalo: appena 750mila euro. Lo stesso Marotta – vero e proprio dominus della Serie A, con mai nascoste ambizioni di incarichi istituzionali – sa benissimo che una Federcalcio ostile avrebbe potuto in vari modi evidenziare la precarietà (per usare un eufemismo) dei conti del club nerazzurro. Anche l’Atalanta, dopo la parziale cessioni agli americani, preferisce mantenere buoni rapporti diplomatici col Palazzo.
Dall’altra parte Lotito e De Laurentiis
Ovviamente non è che dall’altra parte ci siano verginelle. Stiamo pur sempre parlando del calcio italiano. Non sono pochi a parlare di ingratitudine da parte di De Laurentiis cui Gravina fece un favore non da poco con la proroga della scadenza del divieto di multiproprietà che la Figc spostò al 2028-2029. Quasi una norma ad personam che consentì a De Laurentiis di continuare a tenere la proprietà del Bari oltre a quella del Napoli. Lo stesso Adl potrebbe essere indotto a un ammorbidimento della posizione da parte del ministro Abodi anch’egli schierato tra i concilianti. Abodi al momento riveste un ruolo chiave in ottica stadi per gli Europei e il presidente del Napoli è molto (ma molto) interessato a ottenere il Maradona.
La frattura è netta. L’altra sera, sia Gravina sia il suo braccio destro Giancarlo Viglione erano all’anteprima di “Vita da Carlo 3” la terza stagione della sit-com prodotta da De Laurentiis. Non sono passate inosservate né le loro facce buie né il saluto precipitoso senza fermarsi a cena.
I rapporti sono ai minimi termini. Domani nell’Assemblea di Lega potrà consumarsi l’ennesimo strappo del calcio italiano. Che non se la passa benissimo. È di oggi – tanto per dire l’ultima – la notizia che la procura di Roma ha chiesto di sequestrare 140 mila euro al presidente della Figc Gravina accusato di autoriciclaggio.