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A Sinner “nun ce piace ‘o presepe”: l’abisso tra il campione internazionale e il buco nero della retorica identitaria

“Ah guarda, non vedevo l’ora”, è un manifesto politico: altro che retorica del “nostro campione”, Jannik è una star cosmopolita non una mozzarella dop

A Sinner “nun ce piace ‘o presepe”: l’abisso tra il campione internazionale e il buco nero della retorica identitaria
Italy's Jannik Sinner lifts the trophy after winning the final against USA's Taylor Fritz at the ATP Finals tennis tournament in Turin on November 17, 2024. (Photo by Marco BERTORELLO / AFP)

Jannik te piace ‘o presepe? “Ah guarda, non vedevo l’ora”. Ma come, “qua vengono tutte montagne, con la neve sopra, le casette piccole per la lontananza… te piace eh?”. Forse a Eduardo avrebbe risposto educatamente di sì, Sinner. Perché nel presepe di Casa Cupiello, Betlemme aveva l’orizzonte della val Pusteria. Ma in collegamento con Fazio, col trofeo delle Finals ancora fumante, il miglior giocatore di tennis del mondo ha avuto uno spasmo di personalità, l’istinto di non arrendersi al circo. O, almeno, non troppo. Quel serafico “Ah guarda, non vedevo l’ora”, è un manifesto politico. Per i suoi standard di carineria agonistica è uno sbuffo clamoroso. Traduce la distanza siderale tra il campione internazionale e il buco nero della retorica identitarista, che pure lui per quieto vivere spesso accarezza. Il rifiuto dell’ipocrisia del “nostro” fuoriclasse. Trattato (da quando stravince tutto; perché prima, quando rifiutava la Davis, era percepito austriaco, etnia notoriamente meno consona) come un’eccellenza del made in Italy, manco fosse una mozzarella di Battipaglia, un pomodorino del piennolo, il Parmigiano Reggiano Dop.

Sinner

Ovviamente la statuina presepiale di Sinner non poteva che essere vincente, e figurarsi. Fazio ha detto che a San Gregorio Armeno vende di brutto: “sei il pastore dominante”, gli dice. Peraltro senza fatturargli nulla… Su che pianeta vivono? Che avrebbe potuto opporre Sinner? “Eh, non vedevo l’ora…”.

La Gialappa’s c’era arrivata un attimo prima. Nello sketch in cui lo imitano che reclamizza qualsiasi cosa, riescono a fargli dire “perché quando o’ mare è calmo ogni strunz è marenar”. Una gag imperdibile, la potete rivedere qui, dal minuto 1:00 al 1:35.

Il marketing (blasfemissimo) delle statuine vip è ormai un’industria del kitsch che ha imbarcato chiunque. Da Malgioglio a Salvini, da Manolas a Cannavacciuolo, la capanna di Gesù viene svenduta da anni in formato isola dei famosi di terracotta. La blasfemia del caso sta proprio nel propagandarla come nota di merito, un titolo nobiliare, a uno che in questo momento abita un’altra galassia. Uno che aveva già detto il più sacrilego no che questo Paese può incassare: no a Sanremo. Uno che viene raccontato dal New York Times come “trascendente” lo sport che pratica, “più amato di Valentino Rossi”. Uno too big to fail (finché il Tas non sentenzi il contrario). A uno così, “nazional-popolare” non glielo dici. Perché fa lo stesso effetto di quando la Gialappa’s lo immagina a glorificare la “villa di Geollier a Pozzuoli”.

Poi – è chiaro – si ride e si scherza. È televisione. Lui se non ha allenamento cerca di non esimersi. E non se la tira perché non saprebbe nemmeno come si fa. Però la risposta è uno specchio della domanda: riflette chi la fa, il povero Fazio è solo il corpo ospite, i mandati siamo noi. Quelli che non sono ancora riusciti a produrre l’unica vera statuina che rappresenta il nostro presepe: l’impostura sguaiata. Quanto era avanti Eduardo.

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