“Ancelotti si piega. Allena per il club, non per se stesso. È unico così nel livello d’élite del gioco moderno”
Ancelotti ha vinto più Champions di Bob Paisley, Pep Guardiola e Zinédine Zidane, ha vinto almeno una Champions League in ognuno degli ultimi tre decenni. “E tuttavia, a differenza della maggior parte dei suoi contemporanei, non troverete trattati e dissertazioni dedicati al suo stile di gestione”. Il Times ha intervistato Carlo Ancelotti con queste premesse: “Non esiste un modo Ancelotti, nessun singolo progetto Ancelotti. È un allenatore della vecchia scuola, italiano di origine, che lavora con, e si adatta a, ciò che ha; proprio come ha fatto Claudio Ranieri al Leicester City. Vecchia scuola ma moderna, altrimenti — come sottolinea — non potrebbe sopravvivere nel 2024″. E’ un’intervista di maggio, ma la ripropongono oggi.
“Ancelotti si piega. Allena per il club, non per se stesso. È unico così nel livello d’élite del gioco moderno”. The Athletic scrive di “una filosofia calcistica basata sull’adattamento e l’accettazione, non sul dogma.
Lui ricorda di quando al Parma rifiutò Baggio perché non rientrava nel suo 4-4-2. Un passato con il quale ha già fatto ripetutamene i conti. “È stato un errore e ho cercato di cambiare idea quando sono andato alla Juventus. Avevo Zidane, ed era il numero 10. Dovevo metterlo a destra o a sinistra? Impossibile. Zidane è il giocatore più importante della mia squadra e deve essere il numero 10 e io devo adattarmi. Da lì ho sempre tenuto conto delle caratteristiche dei giocatori per costruire il sistema”.
“Ancelotti è intelligente. Evoluzione, non rivoluzione, un ritocco, non un vortice selvaggio della ruota”, continua il giornale.
Lui rinverdisce il mito dell’uomo calmpo: “Pensi che ascoltino di più se urli? No. Più urli, meno ascoltano. Il punto chiave è che ho molta passione, ma non sono ossessionato dal mio lavoro. Non lo sono mai stato, non per quanto riguarda il calcio. Mi piaceva molto, come giocatore, come allenatore, ma non impazzisco. Sono calmo”.
“Mio padre era un contadino. C’erano lui, mia madre, mio nonno, mia nonna e mia sorella. Eravamo in sei e non avevamo una lira, niente. Il denaro, per me, non è importante perché siamo cresciuti senza. Non ho mai sentito mio padre parlarne, mai mia madre. E non ho mai sentito mio padre o mia madre mancare di rispetto a mio nonno o mia nonna. C’era un’atmosfera davvero bella in famiglia, ma anche un sacco di problemi perché non avevamo soldi”.
Tornando al calcio: “Avere una sola identità di squadra è un limite. Abbiamo giocato una partita in Champions League contro lo Shakhtar Donetsk. Una squadra molto buona, li allena Roberto De Zerbi. Quello che faceva con i terzini e le diverse posizioni, era davvero buono. Ma ho detto ai miei giocatori, vogliono che pressiate. Non pressate. Se pressate ti passeranno la palla. Non pressare e ti passeranno la palla. Noi non abbiamo pressato, e abbiamo vinto 5-0”.
“Non c’è stile per me. Nessuno stile Ancelotti. Il mio stile non è riconosciuto, perché cambio. Lo stile tiene in considerazione la preparazione dei giocatori. Contro il Manchester City (nei quarti di finale di Champions League dello scorso anno, ndr) abbiamo giocato a blocco basso, difesa forte. Abbiamo giocato in questo modo una o due volte, non di più. Non giochiamo così, siamo più offensivi. Ma ho visto che era il modo per competere e vincere quella partita”.