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Baresi: «Oggi non so se resterei a vita al Milan. Nel 1981 per un’infezione al sangue ho rischiato la sedia a rotelle»

Al CorSera: «Berlusconi voleva candidarmi a Milano. Baggio si tranquillizzi su Usa 94, senza di lui non saremmo mai arrivati fin lì»

Baresi: «Oggi non so se resterei a vita al Milan. Nel 1981 per un’infezione al sangue ho rischiato la sedia a rotelle»
Pasadena (Stati Uniti) 17/07/1994 - finale Mondiali di calcio Stati Uniti 1994 / Brasile-Italia / foto Imago/Image Sport nella foto: Franco Baresi-Romario ONLY ITALY

Franco Baresi, vicepresidente onorario del Milan, ha scritto un libro sulla sua vita. Più di una biografia, tanti i ricordi che percorrono la Storia. Il Corriere della Sera lo ha intervistato parlando proprio di quei ricordi.

Baresi: «Oggi non so se resterei a vita al Milan»

C’è anche uno stadio a suo nome. O meglio, c’era il progetto stadio «Franco Baresi» in Mongolia, del quale lui ha messo la prima pietra, l’hanno poi costruito?

«No, era una mossa elettorale di un candidato che approfittò della mia presenza».

Tra i flash, colpisce quello dopo la sconfitta ai rigori con il Brasile a Usa ’94, in cui lei racconta la sua emozione per i brasiliani che festeggiano in memoria di Senna.

«Forse hanno anche meritato di vincere e poi avevano questa stella da lassù che li ha accompagnati. Credo che nello sport si debba avere quella forza e quella cultura per riconoscere la grandezza altrui».

Proprio in quel mondiale oltre a Baggio, che non si perdona per l’ultimo rigore fallito, sbagliò anche Baresi:

«Credo Roberto si debba tranquillizzare, perché la verità è che senza di lui non saremmo mai arrivati fin lì. Io mi sono sempre ritenuto fortunato a giocare quella finale dopo la corsa contro il tempo per recuperare dall’infortunio. E farlo in quel modo, con una delle mie prestazioni migliori, resta un ricordo positivo».

Il virus del 1981 che la tenne fuori 4 mesi cosa fu?

«Un’infezione al sangue: una volta individuato lo stafilococco, trovarono l’antibiotico giusto. Ma la ricerca non fu breve. Da giovane pensi di guarire il giorno dopo, ma passare dal campo alla sedia a rotelle fu un momento delicato: non riuscivo quasi a camminare per i dolori e mi facevo delle domande».

È riduttivo dire che in Italia non nascono più i campioni perché c’è meno fame?

«Oggi è un altro mondo, nel quale i giovani non si focalizzano solo su una passione: per noi dopo la famiglia e la scuola c’era solo il pallone».

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Davvero nella foresta amazzonica ha sentito più frastuono che in un derby?
«Sì, è stata un’esperienza che mai avrei pensato di vivere. Ho visto popoli in un mondo a sé, realtà incredibili che ti fanno pensare quanto è vasto il pianeta. Questo ti aiuta a relativizzare e a dare più valore alle piccole cose».

Berlusconi la sorprendeva spesso?
«Direi quasi sempre. Abbiamo avuto un rapporto molto bello: era attento all’atleta, ma anche alla persona. E ritirare la maglia numero 6 fu qualcosa di mai visto prima. La politica? Qualche volta mi chiedeva se mi sarebbe piaciuto candidarmi a Milano. Poi ha capito che il mio carattere non era adatto». 

«Non so se oggi rimarrei sempre nello stesso club»: è una frase forte detta da Baresi.

«Il calcio è cambiato, io non ho nemmeno mai avuto un procuratore. Restare al Milan era una cosa naturale. Per guadagnare di più? Sì, ma ci si pensa sempre dopo. Certo, oggi le cifre che girano sono molto diverse».

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