La judoka a Sportweek: «Mi sentivo triste eppure non mi sentivo legittimata ad esserlo. Avevo vinto, di che cosa potevo lamentarmi?»
«Da fuori posso sembrare antipatica, quasi una stronza, ma in realtà il mio più grande segreto è che sono un orsacchiotto». Così si presenta a Sportweek Alice Bellandi. Oro olimpico vinto a Parigi, battendo in finale l’israeliana Lanir, è frutto di un percorso che ha portato la ventiseienne bresciana ad affrontare i traumi che la stavano divorando.
Nel 2020, prima e durante i Giochi di Tokyo, combatteva contro la depressione e i disturbi alimentari. Ed è stata proprio la successiva delusione del settimo posto in Giappone a salvarla. Da lì, ha dato inizio a una rinascita.
Bellandi: «Non sentivo legittimata ad essere triste. Avevo vinto, di cosa mi lamentavo?»
L’oro olimpico ha cambiato la vita ad Alice?
«Non direi proprio cambiata, però diciamo che l’ondata di affetto che ne è seguita mi ha travolto. E questo è stato inaspettato, perché ho vinto tante medaglie importanti tra Europei e Mondiali, medaglie che hanno un peso, ma forse solo per me e per chi vive il mondo del judo. Invece l’oro olimpico ha avuto un impatto anche su chi non sa nulla del mio sport: essere fermata e riconosciuta per strada mi ha sorpresa. A volte non so come gestirla questa cosa, tutti si aspettano che io sia sempre felice solo perché ho vinto».
Non è così?
«Giorno dopo giorno si è costretti a tornare alla realtà, quella che mi ha fatto pensare che fosse una medaglia come le altre. Ci sono stati momenti, soprattutto all’inizio, in cui se ero triste non sentivo legittimata ad esserlo: avevo vinto, di che cosa potevo lamentarmi? Ma non riuscivo a sentire quella felicità di cui tutti mi parlavano. Ho rischiato di ricadere in depressione».
Bellandi spiega:
«Nella società di oggi si tende a mostrare solo il bello, solo coppier perfette, solo gente ricca, tutti felici… Ma, dietro allo schermo, la vita vera non è così. Per chi come me sta affrontando un percorso, e non solo, è pericoloso».
Poi ricorda il periodo prima di Tokyo:
«Di quel periodo ricordo il buio. Ero come in una palla che rotola continuamente verso il basso. Mi isolavo, non sapevo che cosa volesse dire condividere e non volevo mostrare a nessuno le mie debolezze. Cercavo sempre di nascondere tutto sotto il tappeto, anche quando i miei disturbi diventarono evidenti: un giorno pesavo 70 kg, quattro giorno dopo ne pesavo 86, avevo la tachicardia.
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Iniziavo ad avere problemi alla pelle, a perdere capelli. Il tutto culminò proprio a Tokyo: dopo aver perso ero a pezzi e ho davvero toccato il fondo. Mi sono trovata di fronte a una scelta: dovevo lasciare tutto o c’era qualcosa che mi poteva salvare? Così ho trovato la forza dentro di me di rialzarmi. La salvezza è stata fermarmi e interrogarmi su che cosa avrei dovuto modificare nella mia vita per stare bene. Da lì ho cambiato allenatore, cambiato categoria e iniziato un percorso con una mental coach. In più ho ritrovato la fede, altra cosa che mi ha aiutato molto».
Dopo l’oro il bacio in mondovisione con la sua ragazza:
«Ammetto che non è stato facile. Anche lei è una judoka, ma ha mancato la qualificazione per Parigi e ha dovuto mettere da parte il suo dolore per sostenere il mio sogno. Non è una cosa da tutti. In più non sono una persona facile ed è stato sicuramente complicato gestire i miei sbalzi d’umore. Le sarò per sempre grata».
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