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Bennato: «Se mangiavamo al ristorante Maradona andava in cucina per dare soldi ai lavapiatti»

A Tuttosport: «Spalletti è fortissimo. C’è un dialogo costante, mi ha portato in giro a mangiare e sono stato a casa sua per la festa in ricordo del fratello Marcello»

Bennato: «Se mangiavamo al ristorante Maradona andava in cucina per dare soldi ai lavapiatti»

Tuttosport intervista oggi Edoardo Bennato che è in tour con “Le vie del Rock sono infinite” per parlare con lui di calcio e anche del suo Napoli

«Io mi trovo, come essere umano, in una situazione di schizofrenia. Da una parte c’è il bambino che andava con suo padre a vedere Luis Vinicio e poi allo stadio con gli amici. Quindi, un tifoso legato visceralmente a dei colori, a una squadra. Poi però c’è l’urbanista, il sociologo. Insomma: due entità contrapposte e antitetiche. Il “non tifoso” scorge il rischio di una implosione del mondo del calcio diventato business in cui l’attività sportiva passa in secondo piano rispetto ad altri meccanismi. Secondo me, ogni società dovrebbe integrare in organico solo tre atleti non dell’area regionale e dovrebbe invece costruire strutture, incentivare scuole calcio, attività per i ragazzini. E allora tutto avrebbe un senso. Il modello Barcellona, in questo senso, mi piace: calciatori cresciuti nelle giovanili che coltivano senso di appartenenza e sono espressione della regione in cui crescono. Un modello che dovrebbe servire a tutti. E aggiungo un’altra considerazione di tipo sociale. Il calcio è fame, è fatica: spesso la differenza la fa la rabbia che hai venendo da posti disagiati. Vi faccio degli esempi?».

Bennato e i ricordi su Maradona

«Pelé e Maradona sono esempi di ragazzini cresciuti in povertà e che sono riusciti ad emergere. Diego l’ho conosciuto bene, ho avuto modo di apprezzarlo nelle cose semplici. Un adolescente che a un certo punto riesce ad essere consapevole delle proprie capacità e si sente in debito con gli altri per il suo talento. Considerava le sue capacità una illuminazione divina. Era sempre portato, nelle sue relazioni, a privilegiare le classi disagiate. Si faceva voler bene dai poveri, dai disperati. Se mangiavamo al ristorante, lo vedevo andare in cucina per dare soldi ai lavapiatti. Anche lo sguardo di Pelé era lo sguardo di riconoscenza per un dono avuto».

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Chi le piace del suo Napoli?

«La lista è lunga: apprezzo Lobotka, che è fortissimo. Così come apprezzo Politano. E McTominay: peccato abbia preso un palo contro l’Atalanta! Un gol avrebbe cambiato le sorti di quella partita disgraziata…».

Conte l’ha già incrociato?

«Ancora no, invece con Spalletti c’è un dialogo costante e molto spesso siamo insieme. Luciano è fortissimo a tutti i livelli: mi fa piacere stare con lui perché ha il senso dell’ironia. Mi ha portato in giro a mangiare, sono stato a casa sua alla bellissima festa che fa in onore e ricordo del fratello Marcello. In sua compagnia si sta davvero bene. Per scherzare si è messo pure a cantare: mica si tira indietro. E come allenatore è eccezionale. Luciano è anche uno psicologo. Riesce a capire umanamente i suoi giocatori e da ciascuno tira fuori la parte migliore. Per certi versi anche Conte è così: fa in modo che ogni atleta dia il meglio, lo rassicura e lo sprona».

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Conte sì che canterebbe volentieri con lei, è appassionato di karaoke.

«Avevo invitato tutti gli azzurri al mio concerto all’Arena Flegrea, ma dovevano partire per una trasferta e non sono riusciti a venire. Sarebbe stato un momento importante perché il mio concerto dà energia e potrebbe generare carica. La musica è questo: uno scambio di propositività ed emozioni tra chi la fa e chi la ascolta»

 

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