Al Corsera: «Agnelli convocò me, Thuram e Nedved, e ci chiese di Milingo. Chagall mi salvò dalla depressione. Conte ci faceva cazziatoni terribili»
Gigi Buffon intervistato da Aldo Cazzullo per il Corriere della Sera. Bellissima intervista.
«C’è qualcosa di masochista, nel portiere. I campi della mia giovinezza erano gli stessi degli anni 70: l’area dura come il cemento. I vecchi portieri li riconosci dalle mani ferite, dai fianchi dolenti, dalle tante volte che sono caduti fino a sanguinare. Ho avuto un solo procuratore nella vita, Silvano Martina. E l’ho scelto perché aveva le mani piene di cicatrici. Mani da portiere».
Perdeste ai rigori (col Milan in finale di Champions). E qualche mese dopo, rivela nel libro, lei cadde in depressione. Come andò?
«Era la fine del 2003, il campionato era cominciato bene, poi cominciammo a perdere colpi e stimoli. Eravamo reduci da due scudetti di fila: dopo l’up, il down. Mi si spalancò davanti il vuoto. Cominciai a dormire male. Mi coricavo e mi prendeva l’ansia, pensando che non avrei chiuso occhio. (….) Il dottor Agricola fece la diagnosi, poi confermata dalla psicoterapeuta: depressione».
Come ne è uscito?
«Rifiutai i farmaci. Ne avrei avuto bisogno, ma temevo di diventarne dipendente. Dalla psicoterapeuta andai solo tre o quattro volte, ma mi diede un consiglio prezioso: coltivare altri interessi, non focalizzarmi del tutto sul calcio».
Quali altri interessi?
«Fu allora che scoprii la pittura. Andai alla Galleria d’arte moderna di Torino. C’era una mostra di Chagall. Presi l’audioguida. Davanti alla Passeggiata rimasi bloccato per un’ora. È un quadro semplice, raffigura Chagall con la moglie Bella mano nella mano; solo che lei vola. Il giorno dopo, tornai. La cassiera mi disse: guardi Buffon che è la stessa mostra di ieri. Risposi: grazie, lo so, ma voglio rivederla».
Dissero che era fascista, per la maglietta con la scritta «boia chi molla» e il numero 88.
«Non avevo la minima idea che per qualcuno evoca Heil Hitler, essendo la H l’ottava lettera dell’alfabeto; per me voleva dire avere quattro palle».
Ma lei Buffon come la pensa veramente?
«Di sicuro non sono fascista, tanto meno razzista. Ho chiamato il mio primogenito Louis Thomas, che ora gioca attaccante nelle giovanili del Pisa, in onore dell’eroe della mia infanzia: Thomas N’kono. Sono stato l’unico europeo ad andare in Camerun per il suo addio al calcio: un ricordo stupendo».
Le pagine su N’kono sono tra le più belle del libro. Ma, ripeto: lei come la pensa?
«Sono un anarchico conservatore. Carrara, la mia città, è terra di anarchici. Credo profondamente nella libertà, e ho pagato un prezzo per questo. Abbraccio i giornalisti, ma non ho mai cercato la loro complicità. E i giornali, i social, contano molto nel nostro ambiente».
Chi è stato il suo vero compagno di strada?
«Quel ragazzo anche lui un po’ strafottente, con l’accento romano, due anni più grande di me, che conobbi nella Nazionale under 16: Francesco Totti. Si creò subito una forte empatia. Francesco è un cavallo di razza: va amato e protetto».
Buffon, Agnelli e gli allenatori
Come ricorda l’avvocato?
«La Juve aveva venduto Zidane al Real e investito duecento miliardi per me, Pavel Nedved e Lilian Thuram. Agnelli ci invitò a Villar Perosa. Ci accolse sorridendo: ecco i nostri miliardi che camminano! Dopo, forse vedendo Lilian, chiese cosa pensassimo del caso Milingo».
L’esorcista che aveva perso la testa per una donna, per poi chiedere perdono al Papa.
«Thuram, che è uomo di mondo, abbozzò una risposta. Nedved lo guardava allibito: palesemente non aveva mai sentito nominare Milingo in vita sua».
Qual è l’allenatore più forte che ha avuto?
«Sono stato fortunato. Ho avuto i sergenti: Scala, Capello, Conte. Quelli che scuotono i calciatori. E ho avuto gli psicologi, quelli che li calmano: Ancelotti, Allegri».
Mi faccia l’esempio di un sergente.
«Avevo fatto una partita strepitosa, una sequela pazzesca di parate, cadere rialzarsi, cadere rialzarsi. Capello mi convoca. Mi fa vedere il filmato della partita. E mi dice: Gigi, proprio non ci siamo. Ci rimasi malissimo».
E un esempio di psicologo?
«Abituati a Conte, che ci faceva cazziatoni terribili, Allegri ci parve un angelo. Alla vigilia di una partita, sulla lavagna degli schemi scrisse solo: 3. “Siete tre volte più forti degli avversari. Ora andate in campo e vincete”».
E Lippi che tipo era?
«Una via di mezzo. Dopo il fallimento ai Mondiali in Sudafrica ci disse: “La colpa non è vostra. La colpa è mia, che sono così coglione da aver portato ai Mondiali proprio voi”».
Ma chi tra loro è l’allenatore più forte?
«Ognuno è l’uomo giusto in un determinato momento. Quando ho saputo che Conte sarebbe andato al Napoli, ho detto: quest’anno il Napoli arriva o primo o secondo».
Cosa rispose Conte, quando lo avvisò che si era innamorato di Ilaria D’amico?
«Un fuoriclasse sta con una fuoriclasse».
Come vi siete conosciuti?
«Dopo la partita con il Milan che decise lo scudetto del 2012, quella del gol non convalidato a Muntari, Ilaria mi fece una domanda capziosa: “Buffon, se si fosse accorto che la palla era entrata, l’avrebbe detto all’arbitro?”».
E lei?
«Non sono mai stato un ipocrita. Risposi che non mi ero accorto che la palla fosse entrata, e se me ne fossi accorto non credo che l’avrei detto. Scoppiò un putiferio».