“Ormai i club sono organismi ospitanti, rappresentano governi, non comunità. E’ un fenomeno stranamente poco raccontato e analizzato”
Restiamo sul calcio, si dice sempre. Come se fosse possibile… perché “il football continua ad attaccarsi ad altre cose, come la costruzione della nazione, la geopolitica”, e moltissime altre cose. Prima “il calcio era attaccato alla ricchezza industriale europea e alla governance coloniale. In futuro invece il calcio promette di attaccarsi al prodotto globale senza radici, all’urlo incessante della mente alveare digitale”. Ora, davvero – si chiede Barney Ronay sul Guardian – “qualcuno vuole solo parlare di Var?”.
E’ uscito un libro, si chiama “States of Play”, lo ha scritto Miguel Delaney: parla della… “megapolitica del calcio moderno”. Un tentativo importante – scrive Ronay che lo recensisce – perfettamente sincronizzato e immensamente necessario di trascrivere e dare un senso al mondo che scorre davanti alla finestra in tempo reale”.
Al di là del com’è o come non è, è interessante la sostanza. “Negli ultimi 20 anni il calcio ha attraversato il suo periodo di cambiamento climatico sovralimentato. Questo non è più un avvertimento. È qui ed ora, inarrestabilmente presente e ancora stranamente poco documentato”.
Nel libro c’è anche “una scorribanda precoce nel maturo paesaggio premoderno, l’era del Berlusconismo, della Irving Scholar, dei lanci satellitari e dell’inutilità cieca della Football Association”. Per arrivare alla “European Television League”: “Hmm. Già che ci siamo, costruiamo una piccola scatola e riempiamola con tutto il male del mondo”.
La nozione di sportswashing “è fin troppo blanda. Non c’è molto che venga lavato dagli stati sovrani coinvolti nel football d’élite. Questo è il potere dello sport duro”.
Nel libro di Delaney (che è il capo redattore del calcio dell’Independent, “un lavoro che lo porta da Donetsk a Doha, a Riyadh e Zurigo, posti in prima fila nel più ampio circo globale”, c’è persino l’ingaggio di Gianluigi Lentini da parte del Milan per una scandalosa cifra di 13 milioni di sterline, descritta da Papa Giovanni Paolo II come “un’offesa alla dignità del lavoro”.
“Il calcio, ci viene ricordato, è destinato a intrattenere le comunità, non a favorire i dittatori”. E soprattutto analizza il “processo che sostanzialmente trasforma i club in organismi ospitanti, rappresentanti di un governo, non di una comunità”.