Alla Gazzetta: «Mi stavo lavando i denti e la bocca non rispondeva ai comandi. Io non sono mai stato bello, così però…».
Il tecnico dell’Empoli Roberto D’Aversa ha parlato alla Gazzetta dello Sport del momento difficile che sta vivendo in merito alla paresi facciale che lo ha colpito.
D’Aversa: «L’occhio sinistro non mi si chiudeva, non riuscivo a mangiare, né bere»
Ha raccontato:
«Mi stavo lavando i denti. La sera prima avevo cenato a Firenze con lo staff. La bocca non rispondeva ai comandi. Nei due giorni precedenti non sentivo i sapori, ma il tampone del Covid era negativo. Ho chiamato il dottore dell’Empoli, siamo andati al Pronto soccorso e ho aspettato quattro ore gli esami pensando a cose molto brutte. Poi il responso: paresi facciale. Io non sono mai stato bello, così però… Sto facendo le cure, cortisone, integratori per i nervi.
I primi giorni sono stati davvero brutti, di notte dovevo bendarmi l’occhio sinistro perché non si chiudeva. Per un po’ è stato impossibile bere e mangiare. Adesso scherzo con mia figlia più piccola, quando provo a darle un bacio e la bocca va da un’altra parte. E ridendoci su capisco quanto siamo fortunati, quanto sia importante la prevenzione e quanto soffra chi dalla nascita convive con certi problemi e magari viene anche bullizzato».
Era stato licenziato dal Lecce per la testata a Henry, attaccante ex Verona
D’Aversa è intervistato dal Corriere della Sera.
Perché Empoli?
«Avevo due priorità: restare in A, una categoria che ho dimostrato di meritare, e soprattutto riscattare la mia immagine di 35 anni di calcio e di padre di famiglia con tre figli. Ringrazio la società, è stata coraggiosa».
A marzo il Lecce l’ha licenziata per una testata a Henry
«Quando sono rientrato a casa, Claudia, mia moglie, mi ha guardato. “Ma cosa hai fatto?”. Poi subito dopo. “Ormai è successo, rialzati e vai avanti”. Sono stato molto fortunato a incontrarla. Passo poco tempo in famiglia, l’artefice della buona educazione dei miei figli è lei.
Dopo la testata è stato etichettato come violento. Quanto è stato difficile?
«Siamo rimasti in città, non volevamo costringere i figli a cambiare scuola. I leccesi mi hanno aiutato. Anche molti direttori sportivi sono stati solidali, compresi quelli con cui non avevo rapporti. Poi certo, quando entri in casa e tua figlia di 9 anni ti sorride, tutto passa in secondo piano».