Al Corsport un messaggio a Lotito e Adl: «le astensioni sono una presa di distanza rispetto a chi ha tentato di forzare la mano, in un’ottica non costruttiva».
Gabriele Gravina, presidente della Federcalcio, intervistato da Ivan Zazzaroni per il Corriere dello Sport all’indomani della riforma dello statuto approvata in assemblea.
Innanzitutto: si ricandida o molla, insiste o saluta la compagnia?
«Scioglierò la riserva tra qualche giorno, ma non deciderò da solo», assicura.
E con chi lo farà?
«Con le componenti del calcio italiano. Un federatore non può autocandidarsi, se non verifica il consenso attorno alla sua capacità di rappresentare una guida per il movimento».
Il plebiscito sulle modifiche allo statuto, ottenuto in assemblea federale, non può bastare, giusto?
«È un segnale importante, che ho molto apprezzato. Ma riguardava le regole. Adesso la verifica si sposta sulla leadership».
La serie A si è sfilata per i due terzi dall’opposizione del presidente Casini…
«Quelle astensioni provano che la maggior parte delle società ha compreso lo sforzo fatto per valorizzare il peso della Lega di A, e quindi è una presa di distanza rispetto a chi ha tentato di forzare la mano, in un’ottica non costruttiva ma esclusivamente oppositiva». (evidente il riferimento a Lotito e De Laurentiis, ndr).
Gravina sul rapporto tra calcio professionistico e i dilettanti
Rompere l’equilibrio tra professionisti e dilettanti vorrebbe dire distruggere il calcio. Oltre che diventare un autentico caso in Europa».
Un caso?
«In Inghilterra la Premier vale appena il 6 per cento e i dilettanti il 67. In Francia i professionisti insieme contano il 37 e i dilettanti il 63. Non molto diversi sono i rapporti in Germania e Spagna. Sarebbe paradossale che, dopo aver riconosciuto in Costituzione il valore civile e sociale dello Sport, lo tradissimo così apertamente».
A cosa allude quando parla di interessi personali? Al dossier contro di lei su cui indaga la procura di Perugia?
«Alludo a un modo di fare politica federale fuori da qualunque codice di fair play. Dove l’avversario può diventare bersaglio di infamie, anche con la complicità di alcuni operatori della comunicazione. Si è rischiato di trasformare la nostra comunità in una giungla del sospetto e dei veleni… La magistratura farà piena luce, ma restano l’amarezza e la necessità di vigilare. Perché ciò che abbiamo visto e subìto non accada mai più».