ilNapolista

Il suicidio quasi letterario del Napoli Basket, una sconfitta fantozziana che lascia i tifosi da soli a ululare

Napoli-Venezia, otto punti di vantaggio a 48 secondi da giocare. Accade l’impossibile. Sorrentino potrebbe girarci il terzo film su Napoli

Il suicidio quasi letterario del Napoli Basket, una sconfitta fantozziana che lascia i tifosi da soli a ululare

“Fate falloooooooo”. L’abbiamo lasciato lì quel pover uomo avvolto in una sciarpa, quando tutto era finito, ad ululare come un coyote alla luna. E quando la tribuna andava svuotandosi, e i giocatori del Napoli Basket firmavano autografi a bambini i cui genitori – contemporaneamente – gli intimavano di morire il prima possibile, il suddetto pover’uomo era ancora lì: le mani ad incorniciarne la faccia travisata, come l’Urlo di Munch. Con lui ad invocare quel fallo che mai fu fatto s’attardavano i reietti, i tifosi, almeno quelli ancor sospesi nell’incredulità, in un limbo incompatibile con la ragione. Cosa è successo? Bastava guardarne le espressioni scioccate, per intuirne l’elaborazione intima di un lutto troppo impresentabile per essere reale.

Il suicidio quasi letterario del Napoli Basket

Se in una dimensione parallela dicono che vincere è l’unica cosa che conta, la sconfitta indossa spesso un fascino inespugnabile. Per descrivere in un aforisma fulminante l’ultimo minuto di Napoli Basket-Reyer Venezia 80-81 servirebbe il Sorrentino più ispirato. “Io non so niente ma mi piace tutto”, tipo. E poi una boccata di sigaretta. Il Palabarbuto s’è sgonfiato di colpo, di tutta la sua gente fuori dal seminato. Il professor Marotta avrebbe opposto un “al palazzetto si viene già cacati e già pisciati”, ma lo avrebbero probabilmente arso vivo.

La storia dello sport – il basket in particolare – ridonda di rimonte implausibili, ma a volte a decretarne l’immortalità è lo stile, il “come”: la palette che colorerà ai nipotini “quella volta che” in tutti i racconti degli sventurati nonni e zii.

E dunque, ce lo ripetiamo come in terapia, cosa diamine è successo? La freddezza degli highlights non rende l’idea, nemmeno lontanamente. E’ una traccia, questo sì, di una resa tattile. Un suicidio perfettamente coreografato.

E’ successo che, dopo 5 sconfitte su 5 partite di campionato, Napoli stava dominando la partita con Venezia. Sempre in vantaggio, dal primo secondo (all’ultimo, diranno poi le statistiche sbeffeggiando la cronaca). Anche grazie ai due nuovi acquisti d’emergenza: Green e Bentil.

Statistica Napoli Basket

Ad un minuto e venti secondi dalla sirena si era sul 77-70, in un trend avverso al Napoli: la tensione per il traguardo ad un passo, la “paura di vincere” l’avrebbe chiamata dopo coach Milicic. Timeout. Parks (ex mai abbastanza rimpianto) mette in semigancio il -5. Il crollo imminente è una vibrazione che si trasmette sugli spalti come una ola elettrica. Invece Bentil – controfigura di Lukaku per stazza e personalità – fa una cosa che non gli compete, per ruolo: firma la tripla dall’angolo dell’unanime sospiro di sollievo. E’ finita, solo i pessimisti e i vigliacchi coniugano la vita al condizionale. La Reyer s’accascia in panca. 80-72 e 48.8 secondi da giocare.

Una sconfitta fantozziana

Venezia convoca un timeout e in uscita incassa una tripla velocissima, fuori misura, di Moretti, per il -5. Sarebbe il tempo della gestione, nel calcio si chiama melina, nel basket ha altre forme ma la sostanza è quella. Invece Napoli infila un tunnel dell’orrore talmente pacchiano da fare il giro tutto del grottesco, fino al capolavoro in quattro atti.

Primo atto. Napoli in attacco, Dreznjak alla rimessa da metà campo. Parks parlotta tra sé e sé, caricandosi a molla, come se sapesse. Sa, evidentemente: intercetta il passaggio, ringrazia educatamente e va a schiacciare in contropiede. -3. Timeout a 34 secondi dalla fine.

Secondo atto. Poiché circa un minuto prima Napoli aveva perso una palla sanguinosa dalle mani di capitan De Nicolao, pensa bene di ritrovarsi nello stesso imbuto, solo che stavolta la palla perviene (si fa per dire) a Bentil, con tutte le incertezze del caso. Bastava passare la metà campo, e aspettare, subire un fallo, leggersi una rivista, qualsiasi cosa. Invece no: Venezia gliela scippa e ribalta il fronte. Ha solo il tempo di un’azione per pareggiarla.

Atto terzo: a Venezia serve una tripla, dunque. Dal fracasso delle tribune s’avverte, un po’ timida, l’indicazione: “Fai fallo”. Prima uno, poi due, poi a decine. “FATE FALLO!”. Non fanno fallo. Il primo a provarci è Kabengele, non è il suo mestiere e si vede. McGruder lo sa e si fionda ad intercettare il rimbalzo. “FATE FALLO!”. Non fanno fallo. Il secondo a provarci è Wheatle: ferro. Venezia ancora a rimbalzo con Kabengele, subito assist verso l’arco. Sembra una rissa dei film di Bud Spencer, con il Napoli nell’ingrato ruolo di quello che zompa, si sbatte, smulina colpi a vuoto mentre l’avversario gli tiene la testa. “FATE FALLO!”. E no: non fanno fallo. Regalano anzi un terzo tentativo: stavolta ci prova McGruder, col cronometro che scorre a 7 secondi. Sbaglia pure lui. Per la quarta volta di fila (qui il racconto prende un tono fantozziano) Napoli non riesce a recuperare quella palla avvelenata. “FATE FALLOOOOOOO!” diventa un latrato di dolore popolare, quasi una nenia disperata. Non. Fanno. Fallo.

Leggi ancheLa Coppa Italia del Napoli Basket è stata come l’oro olimpico del pattinatore Bradbury

Quando McGruder (un uomo ovunque) lascia andare l’ultimo possibile tiro della partita il tabellone si trattiene un decimo di secondo prima di illuminarsi a zero. La palla buca il canestro mentre contestualmente Copeland lo travolge. Tradotto: sono i 3 punti del pareggio, più un libero per il sorpasso. I giocatori di Napoli sono attoniti, pietrificati. Kabengele ha un crisi d’euforia, sghignazza in faccia a tutti. McGruder va in lunetta e segna l’ottantunesimo punto con disarmante tranquillità.

Atto quarto: epilogo. Napoli ha nove decimi di secondo per segnare e riabilitarsi, sul 80-81. Cosa può fare un essere umano in nove decimi di secondo? Rimessa. Parks, evidentemente incapace di intendere e di volere, abbatte Dreznjak prima ancora che scatti il cronometro. Per gli arbitri è un tiro libero. Un rigore per regalare un supplementare allo psicodramma. Ma Dreznjak sa, il pubblico sa, Venezia sa: una trama del genere ha bisogno della rottura finale, un esito catartico. E infatti Dreznjak sbaglia. Fine. 80-81.

Traslitterando Sartre, una volta letti i dettagli di questa sconfitta è difficile distinguerla dalla vittoria. Troppo “bella” per esser brutta. Ma Sartre era strabico. E, comunque, persino lui avrebbe fatto fallo.

ilnapolista © riproduzione riservata