Giocare partite difensive non deve essere considerato dispregiativo. Ora però torni a sperimentare e sbrogli la matassa Lukaku
Una squadra tosta
Il Napoli esce da San Siro ed entra nella sosta di novembre con tante certezze in più. Una su tutte, al di là del primo posto in classifica: quella azzurra è una squadra tosta, tostissima, difficilissima da battere sia tatticamente che emotivamente. In questo momento, guardando alla Serie A, solo l’Atalanta ha una forza e una condizione sensibilmente superiori a quelle della squadra di Conte.
Si è visto una settimana fa allo stadio Maradona, ma si è visto soprattutto ieri sera nella gara contro l’Inter: i nerazzurri, al di là del rigore di Calhanoglu, hanno messo insieme pochissime occasioni davvero pulite, davvero nitide. Si possono considerare tali il tiro di Dimarco che ha colpito il palo esterno, arrivato però sugli sviluppi di un angolo, e le conclusioni ancora di Dimarco e Acerbi dall’interno dell’area di rigore. Il gol del pareggio, un tiro scoccato all’improvviso dai 35 metri, deve essere considerato una giocata del tutto estemporanea. Anche perché, bisogna riconoscerlo, la conclusione del centrocampista turco è stata bellissima, ok, ma Meret avrebbe potuto essere più reattivo.
I dati, in questo senso, sono significativi: secondo il modello di Sofascore, i gol attesi messi insieme dall’Inter sono 1,53. Una quota dalla quale, però, vanno sottratti gli 0,8 punti relativi al rigore di Calhanoglu. Il totale, quindi, è di 0,73. Il Napoli da parte sua ha costruito poco, questo va detto, ma in ogni caso ha raggiunto 0,59 xG. Una cifra complessiva non così lontana dai nerazzurri, ed è interessante sottolinearlo al termine di quella che è stata, da parte della squadra di Conte, una gara interpretata in modo accorto. Per non dire difensivo. Ma questa non deve essere considerata una definizione dispregiativa, tutt’altro. Vediamo perché.
Uomo su uomo
Fin dai primissimi istanti di partita, infatti, il Napoli ha alzato tantissimo i ritmi del suo pressing. Ma l’ha fatto adattandosi, in qualche modo, alle caratteristiche dell’Inter. Che, per dirla in maniera sintetica, è una delle squadre di Serie A che attua il cosiddetto gioco relazionale, vale a dire muove moltissimo i suoi uomini sul campo – questi movimenti avvengono in funzione della zona in cui viene costruita l’azione e in cui si trovano i giocatori in quell’esatto momento, da qui la definizione relazionale – in fase di possesso, così da non dare punto di riferimento ai suoi avversari.
Per tutta risposta, in vista della gara di San Siro, Conte ha deciso che il riferimento per il pressing del suo Napoli non dovesse essere la palla: i giocatori azzurri si sono orientati sugli uomini, sui loro avversari diretti. Così si sono determinati dei duelli uomo su uomo a uomo praticamente a tutto campo. Vediamo un po’ di frame piuttosto esplicativi:
Sembra Inter-Atalanta, invece è Inter-Napoli
Gli accoppiamenti sono stati i seguenti: Kvara su Pavard, Lukaku su Acerbi, Politano su Bastoni (e poi in seconda battuta su Dimarco, ma ne parleremo), Olivera su Dumfries, Di Lorenzo su Dimarco, McTominay su Barella, Anguissa su Mkhitaryan e Gilmour su Calhanoglu. Quello tra Gilmour e Calhanoglu è stato il duello più importante e anche inatteso: il centrocampista scozzese, di solito poco ambizioso in fase di pressing, si è attaccato addosso al regista dell’Inter e l’ha seguito praticamente ovunque. In modo da limitarne non tanto la frequenza dei passaggi, all’intervallo Calhanoglu ha comunque accumulato 49 palloni giocati, quanto la libertà di girarsi verso la porta e puntarla in verticale.
Non a caso, viene da dire, il gol del pareggio dell’Inter è arrivato proprio quando Gilmour non è riuscito ad accorciare velocemente su di lui. Poi è chiaro che ci vogliono qualità e una certa dose di coraggio, per provare un tiro del genere. Ma Calhanoglu ha avuto tutto il tempo del mondo per andare alla conclusione:
La palla si abbassa all’improvviso, ma Meret…
Per creare il suo sistema di marcature, dunque, Conte ha sfruttato gli incastri facili tra il 4-3-3/4-5-1 (il modulo con cui ha schierato il Napoli) e il 3-5-2 dell’Inter. Che, ripetiamo, deve essere preso solo come riferimento: la squadra di Simone Inzaghi, infatti, manipola più e più volte il suo assetto nel corso della gara, viene da dire a ogni azione, per cercare di costruire trame sempre diverse.
Il Napoli ha retto sia dal punto di vista puramente difensivo che (soprattutto) fisico: ha difeso in modo agevole per tutto il primo tempo, e infatti fino alla rete di Calhanoglu l’Inter non aveva mai tirato nello specchio della porta. La squadra di Conte, inoltre, ha trovato il vantaggio su azione da corner e in diverse occasioni è riuscita a entrare nell’area di Sommer. C’è un dato, da questo punto di vista, abbastanza significativo: fino al minuto 40′, l’Inter e il Napoli avevano messo insieme lo stesso numero di palloni giocati in area di rigore (5). Una cifra bassa, siamo d’accordo. Ma uguale per entrambe le squadre.
Reggere, reggere, reggere ancora (e il problema Lukaku)
Il pareggio dell’Inter ha cambiato un po’ l’inerzia della gara. Anche dal punto di vista tattico. La squadra di Simone Inzaghi ha alzato i giri del motore, ma in modo contro-intuitivo: mentre nel primo tempo i nerazzurri – anche per strategia deliberata di Conte – tenevano molto di più il pallone rispetto al Napoli, fino ad arrivare a una quota di possesso grezzo del 60%, nel secondo il dato si è invertito. Nel senso che è stato il Napoli a fare più possesso, percentuale del 54% nella ripresa, solo che si è trattato di un possesso sterile.
L’Inter, invece, ha cercato di di imbastire azioni più veloci e più dirette. Così ha creato i presupposti per il gol: 6 tiri tentati in mezz’ora, fino al rigore di Calhanoglu. Risultato: come detto in apertura, sono venute fuori poche occasioni davvero importanti e un rigore concesso per un fallo discutibile. E che in ogni caso è stato commesso a molti metri dalla linea di porta.
I dati sul baricentro medio delle due squadre: ora ne parliamo meglio
Come si vede nei campetti appena sopra, questo cambiamento nell’andamento della gara non ha fatto arretrare il Napoli. La squadra di Conte, possiamo dirlo in maniera oggettiva, ha retto bene all’onda d’urto dell’Inter. Che, basta guardare i dati trascritti sopra per rendersene conto, ha profuso un enorme sforzo per cercare di travolgere gli azzurri. Nel senso che si è allungata tantissimo sul campo, mentre la squadra di Conte rimaneva compatta, nel suo blocco medio-basso, e continuava a respingere tutti gli attacchi. Grazie alla feroce applicazione di tutti i giocatori in campo, ai ripiegamenti di Politano per supportare Di Lorenzo quando il capitano azzurro ha dovuto fronteggiare le frequentissime sovrapposizioni tra Dimarco e Bastoni, alla (consueta) prestazione solidissima di Alessandro Buongiorno.
Il problema è che, in tutto questo segmento di partita, il Napoli non ha manifestato grosse velleità offensive. In questo senso, il tasto che bisogna (di nuovo) toccare è quello relativo a Romelu Lukaku. Che si è fatto sistematicamente anticipare da Acerbi, che di conseguenza ha toccato pochissimi palloni (21 in 77 minuti di gioco) e ne ha toccato solo uno in area di rigore. Ecco la mappa di tutte le giocate del centravanti belga:
In questo campetto, il Napoli attacca da destra verso sinistra
Diciamolo subito: l’andamento della gara non ha aiutato Lukaku. Ma i 3 (!) passaggi tentati in mezz’ora di gioco, dal minuto 46′ fino al minuto 77′, non sono giustificabili. Quando il Napoli si ritrae in formato difensivo, avere un Lukaku in grado di ricevere, tenere e pulire il pallone diventa (ancor più) necessario. E invece il centravanti belga è come se fosse via via scomparso, la sua è stata una sorta di eclissi progressiva sul prato di San Siro. E i meriti di Acerbi, per quanto grossi ed evidenti, sono relativi: Lukaku ha sempre cercato di accorciare il campo, in rarissime occasioni ha provato ad attaccare lo spazio alle spalle del suo marcatore diretto. Come dire: ha dato una grossa mano al suo marcatore.
Sulla partita di Lukaku, poi, c’è una macchia significativa: dopo un errore in costruzione dell’Inter, il centravanti belga ha avuto la possibilità di andare in progressione verso la porta di Sommer. Non ha tirato quando avrebbe potuto, ha cercato il passaggio filtrante per Kvaratskhelia e l’esterno georgiano alla fine è stato chiuso da Acerbi. Ecco, questa scelta diventa perdonabile solo se l’assist viene servito in maniera perfetta. Non è andata esattamente così, e allora bisogna dire che un attaccante, in quella circostanza, deve buttare giù la porta. Quantomeno deve provarci. A maggior ragione se la sua condizione fisica, in questo momento, gli consente di essere decisivo – o comunque impattante sulle partite – soltanto a sprazzi. Con delle giocate isolate.
Un po’ di convinzione in più
Lobotka, l’Inter che si sgonfia, il secondo rigore sbagliato
Con un Lukaku ancora desaparecido, il Napoli ha almeno ritrovato Lobotka. Dal momento in cui il regista slovacco ha fatto il suo ingresso in campo, la squadra di Conte ha ritrovato una certa fluidità nella costruzione da dietro. Non a caso, viene da dire, l’ex Celta ha messo insieme 8 passaggi in avanti riusciti in 34 minuti di gioco: solo 3 in meno rispetto a Gilmour, che però è rimasto in campo fino al minuto 67′.
Il fosforo e l’intelligenza di Lobotka hanno aiutato il Napoli a venir fuori dalla supremazia dell’Inter. Va anche detto, però, che la squadra di Inzaghi è come se si fosse sgonfiata dopo il rigore sbagliato. I dati, in questo senso, sono eloquenti: dal minuto 75′ in poi, l’Inter ha tirato solo una volta verso la porta di Meret. Con Barella, dal limite dell’area. Col passare dei minuti, anche grazie agli altri cambi, il Napoli ha preso il controllo della partita. Ha tenuto il pallone in modo ordinato e costante (negli ultimi 20 minuti di gioco il possesso degli azzurri ha raggiunto quota 61%) e ha anche costruito l’occasione più nitida di tutto il secondo tempo, sempre rigore a parte: quella fallita da Simeone su cross di Ngonge.
Tutti i giocatori del Napoli si portano le mani in testa
Guardando e riguardando queste immagini, diventa inevitabile pensare a questa azione come a un rigore sbagliato. A un secondo rigore sbagliato dopo quello di Calhanoglu. Certo, la velocità e la capacità di coordinarsi necessarie perché Simeone riuscisse a segnare erano decisamente più alte rispetto a quelle che servono per trasformare un rigore. Ma l’occasione resta enorme.
E il fatto che il Napoli l’abbia costruita in modo lineare, anche se eravamo nei minuti di recupero, mette in evidenza, una volta di più, quelle che sono le qualità della squadra di Conte: la concentrazione assoluta sulla partita e la conseguente capacità di comprendere quali sono le strade per contenere/far male agli avversari di turno. Anche se si chiamano Inter. Poi la singola azione può andare bene – come il rigore sbagliato – o può andare male, come la girata di Simeone. Ma il fatto è che il Napoli riesce a giocare partite equilibrate contro chiunque, che determini il contesto tattico. E questa è una grande dote.
Conclusioni
Il Napoli ha messo insieme zero sconfitte nelle tre gare in trasferta Juventus, Milan e Inter. Ovvero le prime tre classificate dello scorso campionato. E, sempre guardando a queste tre partite, ha subito un solo gol. Su un tiro da 35 metri. Ecco, questi sono i dati che pesano. Anche perché mettono in luce quella che è l’anima tattica della squadra di Conte. Un’anima che solo l’Atalanta – e solo in parte: la partita giocata una settimana fa al Maradona è stata più equilibrata di quanto non dica il risultato finale – è riuscita a scalfire.
In questo momento, al netto della condizione di Lukaku e del fatto che il centravanti belga non riesce a garantire la giusta varietà di soluzioni offensive, Conte ha un solo compito: quello di consolidare le fondamenta che ha costruito e di ampliare il ventaglio di opzioni offensive a disposizione della sua squadra. È chiaro che questa esigenza sia da considerare “parallela” alla necessità di recuperare il miglior Lukaku, nel senso che vanno di pari passo, ma è vero pure che il Napoli ha smarrito un po’ di carica innovativa nella sua proposta di gioco.
Forse le gare ravvicinate contro Milan, Atalanta e Inter non offrivano il contesto migliore per sperimentare, per dare un po’ di brio offensivo. E in realtà la mentalità di Conte è proprio questa: la solidità e la sicurezza difensiva vengono prima di ogni cosa. Soprattutto negli scontri diretti. Il primo posto in classifica, anche se con una quota bassa (se il Napoli mantenesse questo andamento chiuderebbe il campionato a 82 punti), sta lì a dimostrare che la strada è quella giusta.