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La Var e il fuorigioco automatico ormai prevedono un atto di fede quasi religioso (El Paìs)

“Dopo il gol annullato a Lewandowski, a chi diamo la colpa? A un computer? Ad un algoritmo? Se una macchina commette un errore, non diventa forse un essere umano?”

La Var e il fuorigioco automatico ormai prevedono un atto di fede quasi religioso (El Paìs)

“O Lewandowski aveva un 58 in piedi oppure stava succedendo qualcosa. Non aveva importanza, perché ora il calcio si gioca al microscopio e ciò che vedono gli esseri umani ha meno importanza”. Mentre in Italia Conte ripete a mitraglia il nuovo tormentone del luddismo sportivo – “ma che significa?!” – in Spagna sono ancora alle prese col meraviglioso fuorigioco d’unghia fischiato all’attaccante del Barcellona. Daniel Verdù coglie l’occasione per ragionare sul Paìs di quanto ormai la tecnologia nello sport sia diventata un’atto di fede.

“Dopo quello che è successo sabato, a chi diamo la colpa? A un computer? Ad un algoritmo? Se una macchina commette un errore, non diventa forse un essere umano? La mancanza di risposte su una questione così primaria lascia nel ventaglio un angosciante vuoto interiore”.

“Il fuorigioco semiautomatico funziona con 12 telecamere installate sotto la copertura dello stadio. I dispositivi catturano i movimenti della palla e fino a 29 punti dati di ciascun giocatore, 50 volte al secondo. È così che calcolano la loro esatta posizione sul terreno. I 29 dati raccolti comprendono gli arti e le parti del corpo utilizzate per segnalare una posizione illegale. A questo dobbiamo aggiungere una palla che invia 500 segnali al secondo e ci permette di determinare il momento esatto in cui avviene l’ultimo passaggio. Sembrerebbe sufficiente gareggiare con l’attenzione distratta dello spettatore a casa dopo aver bevuto due birre, ma non è stato proprio così”.

“La cosa interessante è che assolutamente nessun essere umano ha pensato che fosse fuorigioco in TV. Ma tutti invocavano lo stesso mantra: mi fido del semiautomatico”. Anche l’arbitro l’ha detto a Flick. “Come se fosse un atto di fede, o meglio di contrizione, che diventava più grande ad ogni ripetizione dell’immagine”.

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