Gioca sul suo personaggio, non si prende sul serio, ma le azzecca quasi tutte. La Lazio ha svecchiato ed è seconda un punto sotto il Napoli
Aveva ragione Jep Gambardella, in questo Paese ti prendono sul serio solo se ti prendi sul serio. Lotito non si sa, non s’è mai veramente capito, quanto si prenda sul serio. Però ci siamo abituati a leggerlo narrato male, distorto: alla cloche di un aereo sgarrupato troppo caricaturale per essere contegnoso; a dettare drammatiche interviste con citazioni in latino pericolosamente declinato; e poi appisolato in Senato, ormai un grande classico del circuito chiuso parlamentare. Insomma: buffo, un po’ buffone, sicuramente molto cosciente del suo ruolo. È una tattica, dicono i ben-informati: si posiziona sul margine, e lavora da lì. Ridete voi, sfottete, intanto Lotito la porta sempre a casa. Cosa? Un po’ tutto: la lunghissima carriera imprenditoriale, la politica. E la Lazio. La Lazio soprattutto.
Al di là delle pecionate, la Lazio presente, freschissima di stagione, rappresenta al meglio questo scarto percettivo dalla realtà: sonnecchiando e pisolando, Lotito ha avuto (per un’ennesima volta) il guizzo di innovare uscendo dagli schemi (che poi sono i nostri schemi. Mica i suoi).
Scavallato un terzo di campionato la Lazio è seconda, un punto sotto il Napoli. Ha lavato via muffe e scorie del recentissimo passato, con un’operazione simil-Napoli di Spalletti. Via Luis Alberto, Immobile e Felipe Anderson. Via, soprattutto, prima Sarri e poi Tudor. Una mossa da cavallo, negli scacchi. Obliqua. Lotito ha giocato di fino, rischiando una traiettoria alternativa con Marco Baroni. Un tecnico di coraggio e mestiere, un artigiano raffinatosi a Lecce e Verona, senza stipendi da big e apologie del suo calcio a mezzo stampa. Mentre la critica si distraeva parlottandogli dietro lui pescava al mercato Nuno Tavares, poi approfittava dello svalutato Dia, confermava Castellanos, puntava su Tchaouna. Non è una strategia randomica, è uno spartito jazz. I tifosi, nemmeno a dirlo: con loro è guerra decennale, stravinta. A giugno scesero in piazza con lo striscione “Liberaci dal male” e cantando “Portalo via, signore portalo via”.
Alla seconda di campionato – si era ancora in agosto – già gli saltavano al collo per la sconfitta con l’Udinese. Poi, sotto traccia, la Lazio è partita e non s’è più fermata. Anzi sì, una sola volta, battuta dalla Fiorentina dopo un 2-2 col Milan e tre punti col Verona. Da quel momento ha incassato dieci vittorie tra campionato e coppe, e una sola sconfitta: a Torino con la Juve. E’ cronaca, non leggiamo i tarocchi, da qui a Natale la Lazio potrà dimostrare di essere grande con Bologna, col Napoli al Maradona e con l’Inter all’Olimpico. Sono tutti scontri “diretti” perché non si sa bene in che direzione vada la Lazio, ma tant’è. È secondo in Serie A, e primo a punteggio pieno in Europa League.
Se Lotito ve lo state ancora raccontando per barzellette, l’unico che ride è lui. Sornione. La prolissità accademica, il citazionismo snervante, la cocciutaggine indeformabile, sono cifre del personaggio. Nel frattempo ha rotto col divismo del pallone, ha campato con la scorta per aver dribblato aderenze col tifo che ancora rimpiangeva i Mendieta e i Gascoigne ma soprattutto gli affari di curva. Quelli del “a Valmontone vacce te” quando voleva farsi uno stadio fuori dal raccordo. Ha preso anche cantonate non da poco, soprattutto nel Risiko della politica federale. Ma quella è una meta, l’uomo è tignoso, non molla.
Aveva ragione Jep Gambardella pure sulla storia del “potere di far fallire le feste”. Ce l’ha sempre detto, Lotito: “Non è vero che dormo, mi concentro”. Forse sarebbe il caso di prenderlo sul serio. Quello che alla festa sta sul divano mentre gli altri ballano non dorme, si concentra.