ANALISI TATTICA – Lavoro sporco, battaglia coi difensori e pochi palloni. Ieri c’è stato il ritorno al 4-3-3. La sofferenza finale è apparente
Prevedibilità e dominio
Il Napoli di Conte è una squadra che, almeno in questo momento, cammina su un filo sospeso tra prevedibilità e dominio. Tra monotonia e identità. La partita con la Roma, da questo punto di vista, è stata piuttosto eloquente: gli azzurri, per dirla brutalmente, hanno dato l’impressione di sbattere contro un muro per gran parte della gara, era come se non riuscissero a trovare strade alternative se non quella del gioco sugli esterni. Poi però sono riusciti a vincere proprio grazie a un’azione costruita su direttrici laterali, con un cross (basso, ma pur sempre un cross) che ha trovato Lukaku a pochi passi dalla linea di porta.
Il resto, come dire, deve essere considerato ordinaria amministrazione: solidità difensiva, una sola vera occasione concessa (la traversa di Dovbyk, arrivata sugli sviluppi di un calcio di punizione) e buonissima gestione dei momenti, con sofferenza solo apparente. Perché, questo va chiarito subito, una squadra che soffre davvero non tiene la porta inviolata in otto match di Serie A su 13 disputati. Come dire: non è un caso, non può esserlo.
Il ritorno del 4-3-3
Dal punto di vista puramente tattico, Napoli-Roma ha offerto spunti interessanti. Anche perché la squadra di Conte, nonostante abbia trasmesso una sensazione di già visto, ha messo in mostra alcune varianti ai suoi meccanismi consolidati. Anzi, come vedremo il momento decisivo della partita è scaturito – l’ha detto anche lo stesso Lukaku nel postpartita – da uno schema provato in allenamento. Da una novità su cui Conte ha lavorato negli ultimi giorni, e su cui il Napoli ha insistito tanto nel corso della gara contro la Roma.
Ma andiamo con ordine, e registriamo la prima notizia venuta fuori dalla notte del Maradona: il ritorno del Napoli a un 4-3-3 vero. Non solo teorico. Fin dai primi minuti, infatti, la squadra di Conte si è disposta con Lobotka vertice basso di un triangolo di centrocampo completato da Anguissa e McTominay: la differenza rispetto alle ultime gare l’hanno fatta proprio le giocate e i movimenti del centrocampista scozzese, meno propenso ad alzarsi accanto a Lukaku e a trasformare il sistema del Napoli in un 4-2-3-1 e/o in un 4-2-4.
In alto, nel campetto, ci sono tutti i palloni giocati da McTominay. In mezzo e sopra, invece, si vede chiaramente il triangolo di centrocampo del Napoli con Lobotka vertice basso.
La fase difensiva del Napoli nel primo tempo, e qui sta la vera novità della gara contro la Roma, si è basata su un sistema fluido 4-5-1/4-4-2. Un sistema, quindi, in cui Politano non si trasformava – se non sporadicamente – nel quinto di destra accanto a Di Lorenzo. Molto probabilmente, soprattutto a posteriori, è facile immaginare che Conte abbia fatto questa mossa in modo da poter accoppiare bene gli esterni: la Roma, infatti, si è disposta con un 4-4-2 sghembo, diciamo pure asimmetrico, con Pisilli (mezzo) esterno di sinistra ed El Sharaawy largo a destra, mentre Pellegrini supportava Dovbyk nel ruolo di sottopunta. Con il 4-5-1/4-4-2, Conte è riuscito a mettere Politano su Angeliño e Kvara su Celik, mentre Di Lorenzo e Olivera guardavano da vicino Pisilli ed El Sharaawy.
Il Napoli ha difeso con una linea a quattro e con Politano esterno alto
Come si vede sopra, l’uomo-cuneo del Napoli tra il 4-5-1 e il 4-4-2 (moduli in fase di non possesso) è stato soprattutto Zambo Anguissa. Alla fine, non a caso viene da dire, il centrocampista camerunese è stato il calciatore azzurro con il maggior numero di eventi difensivi (8) tra palle rubate, spazzate e contrasti tentati. L’impatto fisico e la tecnica tentacolare di Anguissa, soprattutto quando c’è stato da arpionare palloni vaganti, è stata fondamentale per reggere l’urto con i giocatori della Roma. Ranieri, infatti, ha impostato un piano-gara offensivamente elementare ma molto aggressivo in fase di pressing e contro-pressing, così da (provare a) sfruttare l’esuberanza di Koné e la solidità di Cristante. Soprattutto nei primi minuti, la squadra giallorossa è venuta ad aggredire altissima – e con molti uomini – il Napoli in fase di costruzione, e così la squadra di Conte si è dovuta rifugiare sulle fasce.
Effetti coi laterali
Le fasce, appunto. Sugli esterni, almeno secondo le rilevazioni di Whoscored, il Napoli ha costruito l’80% (!) delle sue manovre e ha manifestato un gioco monocorde e poco efficace: dopo le prime due azioni in cui Kvara si è fatto trovare smarcato, a Ranieri è bastato registrare i sincronismi tra Celik/El Sharaawy e Angeliño/Pisilli per non limitare il gioco degli avversari – a fine primo tempo i cross tentati dal Napoli sono stati addirittura 19. Allo stesso tempo, però, è proprio sugli esterni che Conte ha lavorato negli ultimi giorni. L’abbiamo visto in diversi momenti della partita contro la Roma:
i giocatori che vedete nei cerchietti bianchi sono Di Lorenzo e/o Olivera
Sì, d’accordo: le sovrapposizioni interne dei laterali di difesa non sono una trovata recente né innovativa. Anzi, sono state un marchio di fabbrica del Napoli di Spalletti nell’anno dello scudetto, per merito soprattutto di Giovanni Di Lorenzo. Nel Napoli di Conte, però, non erano mai state ricercate con costanza. Di certo non frequentemente come avvenuto durante la partita con la Roma, sia a destra (con Di Lorenzo) che a sinistra (con Olivera). È chiaro che il passaggio/ritorno al 4-3-3 puro, in qualche modo, abbia agevolato questo meccanismo. Ma è vero pure che, come detto, il Napoli non ha trovato grande giovamento da questo meccanismo: i 19 cross effettuati nel primo tempo hanno prodotto un solo tiro in porta (McTominay al 25eimo) e appena 3 conclusioni totali dall’interno dell’area di rigore. Poco, troppo poco.
La ripresa
Nel secondo tempo, paradossale ma vero, l’insistenza – diciamo anche la testardaggine – del Napoli è stata premiata. Come detto in precedenza, la rete decisiva di Lukaku è arrivata proprio al culmine di un inserimento interno di Di Lorenzo, bravo a muoversi come una mezzala e a inserirsi in uno spazio lasciato libero dalla difesa della Roma. Ma è proprio questo aspetto a fare la differenza, perché in realtà quel buco si determina a partire dal cambio di modulo operato da Ranieri nell’intervallo.
L’inequivocabile 5-3-2 della Roma in apertura di secondo tempo
Come si vede chiaramente in queste immagini, la ripresa è iniziata con la Roma disposta secondo il sistema 3-5-2/5-3-2, con Hummels terzo centrale e Baldanzi seconda punta accanto a Dovbyk. Nel postpartita, Ranieri ha spiegato che «i cambi all’intervallo mi servivano per tenere di più il pallone e per quadrare le cose dietro: Lukaku era sempre contro uno o due difensori nostri, e poi volevo meglio l’uomo sul secondo palo».
Beh, non è andata come era nei pensieri del tecnico giallorosso: il cambio di modulo ha portato la Roma a soffrire proprio quelle sovrapposizioni interne su cui Conte ha insistito tanto nel primo tempo. Come? Semplice: Celik e Angeliño sono rimasti soli contro due – a volte anche tre, grazie al supporto delle mezzali – giocatori del Napoli che si muovevano in ampiezza. In pratica, usando parole basiche, gli esterni della Roma si sono trovati in mezzo. Ed è bastata un’apertura (ben) calibrata di Kvaratskhelia e uno stop (ben) orientato di Di Lorenzo per aprire una voragine.
Sì, tra poco parliamo anche dell’uscita – ehm – di Angeliño
Nel primo tempo, in questa stessa azione, Pisilli avrebbe seguito Di Lorenzo e Angeliño avrebbe tenuto Politano. Nella sequenza che vediamo sopra, invece, il giovane centrocampista della Roma è troppo lontano dal capitano del Napoli, e così il terzino spagnolo perde completamente il riferimento. E fa anche una brutta figura, la sua uscita è davvero goffa e fuori tempo. Poi naturalmente servono anche la qualità di Di Lorenzo nel cross e la zampata di Lukaku, a sua volta bravissimo ad approfittare della scarsa reattività – diciamo così – di Hummels.
Lukaku
Ecco, a questo punto è inevitabile – anche perché è una consuetudine di questa rubrica – fare una piccola digressione su Romelu Lukaku. Sulla sua prestazione, su ciò che ha offerto al Napoli. Beh, in realtà la differenza rispetto alle altre partite è davvero minima. Ma è anche gigantesca, e non siamo impazziti. Nel senso: anche contro la Roma, il centravanti belga ha messo insieme 4 palloni toccati dentro l’area avversaria e soltanto il 50% di passaggi riusciti.
Al tempo stesso, però, i 4 tocchi di cui abbiamo detto sono bastati per mettere insieme un gol, un passaggio chiave e una delle 5 conclusioni costruite dal Napoli nella ripresa (il colpo di testa sul calcio d’angolo battuto al minuto 50′, poco prima del gol). Insomma, Lukaku ha avuto un impatto significativo in 3 azioni pericolose costruite dal Napoli. In 2 di queste l’ha fatto nel modo giusto, con un bel tocco sotto porta e con una giocata tecnica e molto intelligente. Questa:
Quanti centravanti di Serie A riescono a fare un passaggio del genere?
Al momento, anche qui usiamo parole un po’ brutali, il compito/destino di Lukaku è questo: deve riuscire a essere decisivo con quel poco che riesce a costruirsi. E che la sua squadra riesce a offrirgli. Le sue partite sono fatte di un’enorme mole di lavoro sporco, di tantissimi movimenti a vuoto e duelli con i difensori. Ma anche di questi micro-eventi in cui poter mettere la firma. Ci sono state – e ci saranno – gare in cui gli è bastato, e in fondo il centravanti del Napoli è già a quota cinque gol e quattro assist in 802 minuti di gioco in Serie A. Allo stesso modo, ci sono state – e ci saranno ancora – gare più difficili, in cui non riuscirà a essere determinante.
Quella di Lukaku è una condizione strana. Inattesa, se vogliamo. Perché tutti ci aspettavamo che fosse il centro di gravità assoluto del Napoli, del Napoli-di-Conte schierato con la difesa a tre e che praticasse un gioco più verticale, più diretto. E invece il tecnico salentino, che giustamente legge e asseconda il flusso degli eventi, sta andando in un’altra direzione. Ha fatto e sta facendo qualcosa di diverso rispetto a quanto poteva suggerire il suo passato. Poi è chiaro, Lukaku non ha ancora raggiunto il top della forma fisica, quindi fa ancora più fatica a incidere in un contesto del genere. In questo senso, il tempo e l’apertura di Conte a ulteriori esperimenti potrebbero dargli del margine per tornare a essere più graffiante. O quantomeno più coinvolto.
Il finale di partita (e il potenziale esplosivo David Neres)
Dopo il gol, in pratica, la partita tattica è finita. O meglio: il Napoli si è via via ritratto, ha lasciato un po’ di possesso alla Roma (i giallorossi hanno tenuto il pallone per il 50% del tempo nell’ultima mezz’ora, nei primi 60 minuti la loro percentuale era stata del 25%) ed è entrato in modalità risparmio/gestione. L’unico pericolo corso, come detto, è stato il colpo di testa di Dovbyk – su di punizione di Angeliño – finito sulla traversa. Stop, fine delle trasmissioni. Meret non ha dovuto compiere alcun intervento fino al fischio finale, anche se Ranieri ha inserito prima due esterni freschi (Abdullhamid e Dahl) e poi Dybala al posto di Mancini.
Paradossalmente, ma forse no, è stato Conte a incidere molto di più con i cambi: Folorunsho (subentrato ad Anguissa) ha quasi girato in porta un cross preciso di Mazzocchi (entrato al posto di Politano). Poi Simeone (subentrato a Lukaku) e David Neres (il sostituto di Kvara) hanno costruito l’ultima palla gol della partita, grazie a un bellissimo uno-due che ha permesso al brasiliano di puntare l’area di rigore con una corsa a convergere e di sparare in porta col suo piede forte.
Ecco, appunto: parliamo un attimo David Neres. L’esterno brasiliano ha un potenziale enorme, è un calciatore dalla qualità e dall’esplosività rare, quindi preziosissime, nel contesto della Serie A. Oltre che lavorare sulla ricomposizione di Lukaku, Conte potrebbe/dovrebbe trovare il modo di inserire l’ex Benfica e Shakhtar nel suo sistema di gioco: è probabile che il Napoli avrebbe molti meno problemi di prevedibilità.
Il tiro di David Neres, come avrebbero detto i telecronisti di una volta, ha fatto la barba al palo
Conclusioni
Quest’ultima chiosa, ovviamente provocatoria, è un modo per ribadire che il Napoli deve essere considerato un cantiere ancora aperto. Una squadra in via di costruzione. O meglio: in via di costruzione perenne. In virtù di un organico vasto e articolato, Conte ha il dovere/obbligo morale di continuare a sperimentare nuove idee, nuovi concetti, nuovi meccanismi. È chiaro, non stiamo alludendo a un cambio di modulo e/o di principi per ogni partita, ma a un aggiornamento perpetuo del software di gioco. Di una riscrittura parziale, ma anche significativa, che permetta al Napoli di non diventare monotono. E quindi prevedibile.
Finora, in questo senso, l’allenatore azzurro ci ha sorpreso in positivo: il progressivo inserimento dei nuovi acquisti ha determinato un nuovo contesto tattico, adesso siamo passati alla fase in cui viene aggiunto un nuovo meccanismo/dettaglio che può dare un tocco di freschezza e di novità alla manovra del Napoli. A volte è una metamorfosi impattante, altre volte è impercettibile, altre ancora non funziona – può succedere, naturalmente. Ecco, Conte deve insistere in questa direzione. Non deve fermarsi, non deve arenarsi, ha ancora margini (Lukaku, Neres, ma anche Folorunsho, Raspadori, Mazzocchi, Rafa Marín) per inventarsi qualcosa di nuovo. Da qui passano le possibilità, e quindi le ambizioni, del suo Napoli.