Il grande nuotatore inglese al Telegraph: “Dobbiamo proteggerli, c’è un motivo per cui il 70% dei ragazzi smette prima dei 15 anni”
Il tema ritorna di tanto in tanto: lo sport professionistico fa male? Deve fare male per forza? C’è un limite? O per raggiungere dei risultati, per vincere, bisogna sacrificare un pezzo di vita, quasi abbrutirsela? E’ una domanda che ponemmo tempo fa ad Adriano Panatta. E negli anni anche i grandi atleti hanno cominciato a parlarne. Al Telegraph ha risposto Adam Peaty. Il campione di nuoto inglese che con invidiabile sintesi il Telegraph stesso una volta descrisse così: “Doppio oro olimpico. Infortunio al piede. Problemi di cuore. Disturbo da deficit di attenzione iperattività. Alcolismo. Depressione. Il conforto di Dio”.
Ecco, Peaty dice che i bambini dovrebbero essere protetti dall’agonismo malato. “Non c’è una ragione fisiologica per cui un bambino di nove anni debba alzarsi alle 4 del mattino per andare a nuotare. Dovrebbe essere vietato. È semplicemente ridicolo. Ho iniziato le mie mattine a 14 anni, che è quando dovresti iniziare a implementare quel tipo di regime di allenamento”.
“C’è un motivo per cui il 70 percento dei ragazzi, fino ai 15 anni, abbandona il nuoto e non lo ricomincia più. È perché non è cambiato. Gli allenatori non hanno la quantità di supporto e conoscenza per mostrare la visione a lungo termine… perché un allenatore in questo paese ottiene tutta la sua convalida e gratificazione dal successo. Sì, siate competitivi. Sì, vincete le gare. E sì, lavorate sodo. Ma dobbiamo proteggerli i nuotatori, in quell’età giovanile. Godetevelo il più possibile, un paio di volte a settimana, e dovrebbe essere tutto basato sul divertimento“.