Il Guardian ha deciso di abbandonare X. Ma ne rimpiange un po’ la parte sportiva, fatta di “sregolatezza e iconoclastia, infinite ondate di odio-divertimento, spesso solo odio, a volte solo divertimento”
Il Guardian, come molte altre testate e personalità di tutto il mondo, ha deciso di abbandonare X (fu Twitter). Ma a Barney Ronay dispiace un po’ per quello che lui chiama “Sport Twitter”, ovvero lo sport vissuto su Twitter, online. Ne scrive in maniera un po’ scherzosa e certamente romantica. E’ finito anche quel tempo, in fondo.
“L’idea di abbandonarlo è ancora dura da digerire. Non perché sia bello o carino. Dio no. A volte è semplicemente il posto peggiore del mondo. Ma è anche un contenuto perfetto per il mezzo. Nei suoi momenti migliori è una comunità online genuinamente calorosa e divertente. Bisogna ammettere che è stata una corsa piuttosto selvaggia negli ultimi 15 anni”.
“Anche una normale giornata su Twitter dedicata allo sport (condividere pensieri, leggere post, imparare cose) può sembrare una festa. Quando il mondo era giovane, quando la frontiera selvaggia era spalancata, era esaltante sentire quelle voci lontane e istantanee per la prima volta. Già nel maggio 2011 scrissi un articolo ingenuo e fiducioso sul fenomeno Twitter dell’accesso libero ai giocatori, esaltando i rampini lanciati tra due mondi, un nuovo senso di calore e connessione. Naturalmente il primo commento sotto l’articolo, ancora presente oggi, è “Che mucchio di spazzatura borghese”. E questo è il vero tono di Sport Twitter: sregolatezza e iconoclastia, infinite ondate di odio-divertimento, spesso solo odio, a volte solo divertimento”.
“Su Sport Twitter sono successe cose belle, o si sono diffuse lì dagli altri social. Marcus Rashford e il cibo per bambini . Raheem Sterling che ridefinisce il razzismo nei media. C’era un autentico brivido di glamour da evento, per esempio, quando Pelé twittava, che sembrava sempre un vero Pelé, che ti pizzicava il petto ogni volta”.
“Ci sono chiari sottoinsiemi in questo mondo. Il Twitter del Cricket è caustico, divertente e, ineffabilmente deludente. Il Twitter del Tennis: ossessivo, di nicchia, appassionato. Il Twitter Olimpico: mamme molto entusiaste e gentili. Il Twitter della Boxe: autocompiacimento informato e carica di rancore. Il Twitter del Rugby: nessuna idea, ma potremmo sicuramente imparare molto dal Twitter del Rugby”.
“E così arriviamo al presente disseccato, con un’app che sembra ormai popolata quasi interamente da robot, lunatici, hobbisti monotematici e robot lunatici monotematici. È stato facile diventare leggermente dipendenti da questa roba nel corso degli anni. Ma è anche notevolmente peggiorata. I livelli di rabbia ambientale sono alle stelle. Alcune persone sono lì solo per rompere le cose. Lo spazio in cui tutti noi mettiamo la nostra parte più tossica, dove si nasconde il cane nero collettivo. Tutto il posto sembra meno umano e più automatizzato. Forse perché lo è, e forse anche perché è questo che ti fa passare un decennio qui dentro. Ora siamo tutti robot, un altro effetto collaterale di quella prolungata esposizione ad alta visibilità, sensi intorpiditi, annoiati ma iperstimolati, sempre alla ricerca di qualcosa da provare”.
“E che dire dei nuovi social? Sì, puoi unirti a Windbag: Communing in Pleasancy. Ma quanto durerà quella purezza? Questa è la vera morale della storia dell’arca di Noè. Il peccato fiorirà sempre di nuovo. Qualcuno avrà la vibrazione sbagliata. Le tue opinioni su Emile Smith Rowe o sulla birra artigianale saranno inaccettabili. La gente si arrabbierà perché non si arrabbia più. Gli umani sono umani”.