“E’ insopportabile l’idea che ci siano spettacoli così importanti da non fermarsi mentre non si sa quanti corpi senza vita ci siano”
“Non mi era chiaro che la sospensione della giornata calcistica fosse necessaria fino a sabato; cioè finché non è iniziata”. Manuel Jabois fa outing su El Paìs. Era tra quelli che non avrebbe fermato il calcio mentre a Valencia stanno ancora ripescando i cadaveri nel fango delle alluvioni. Però l’editorialista confessa di aver cambiato idea, per una sensazione netta e un principio inderogabile: “Se è lo sport del popolo, il calcio si ferma quando la gente resta senza casa e senza lavoro, non può mangiare né bere e cerca i cadaveri”.
Perché, scrive Jabois, “no, il calcio non è semplicemente qualsiasi cosa. La giornata di oggi è bastata anche a quelli di noi che inizialmente dubitavano. Le immagini delle partite accadono come le cose che ci appaiono nel presente, ma le crediamo passate, come prima, puro archivio, e il calcio spagnolo, oltre ad essere il nostro più grande spettacolo di intrattenimento, ha, come tale, un’enorme responsabilità“.
“Solo vedendo il pallone che rotola, le squadre in divisa e il pubblico negli stadi, ci si rende conto dove e quando deve esserci la voce di un popolo, e che non si è niente se non si è popolo, e che è insopportabile l’idea che ci siano spettacoli così importanti che continuano mentre non si sa quanti corpi senza vita siano rimasti nel tuo paese”.