Al Guardian parla dei suoi problemi mentali: “Mio padre è morto quando avevo 15 anni. Ma è stato gravemente malato per 10 anni. Mamma non c’era”
Toto Wolff non si nasconde. In una bella intervista al Guardian torna sul racconto dell’addio di Hamilton alla Mercedes, ma soprattutto parla della sua vita e della salute mentale. E’ l’esatto opposto della immagine da macho che ha come boss Mercedes nel terribile mondo della Formula 1. “In alcuni momenti mi sento orribile e vulnerabile, il che è più legato alla vita. Ho sempre avuto problemi di salute mentale, ma è a causa della mia educazione. Ecco perché la mia frustrazione professionale non si avvicina minimamente a quelle altre esperienze che ho vissuto.”
“Tutti dobbiamo portare i nostri bagagli”, dice, “e quello che ho percepito come trauma e umiliazione da bambino non sposterebbe l’ago della bilancia per qualcuno che cresce in Siria o prende una barca attraverso la Manica per sopravvivere. Non dovremmo sentirci dispiaciuti per noi stessi“.
Wolff ribadisce che i suoi problemi sono i problemi delle persone privilegiate.
Hamilton, che ha vinto sei dei suoi sette campionati piloti con Wolff, se ne andrà alla Ferrari l’anno prossimo. “C’è un lato emotivo perché abbiamo fatto questo viaggio insieme. “L’amicizia cambierà, ma non la profondità delle emozioni. Al contrario. Questa sarà una nuova amicizia con Lewis. Dal punto di vista professionale, vedo sempre dei vantaggi nel cambiamento. Abbiamo nuove normative, abbiamo rimodellato la nostra organizzazione e stiamo intraprendendo una nuova era con George Russell che compie 27 anni e Kimi Antonelli che ne ha 18. Insieme, in due, sono poco più grandi di di Lewis (che compirà 40 anni a gennaio, ndr)”.
Ricordando il momento di gennaio in cui Hamilton gli disse che sarebbe andato alla Ferrari, Wolff dice: “Non ero affatto scioccato. Sapevo che stava succedendo da qualche settimana prima, quando ho ricevuto una telefonata da Carlos Sainz e suo padre. Ha pensato ‘qualcosa bolle in pentola’. Ma quello stesso pomeriggio ho ricevuto chiamate da alcuni altri piloti che erano vicini a Charles Leclerc. Anche Fernando Alonso. Ho detto a Susie (la moglie, ndr): sta accadendo alle nostre spalle”.
Wolff allora mandò un messaggio a Frédéric Vasseur: “Ti prendi il nostro pilota?”. Quando non ricevette risposta, il che era insolito perché lui e Vasseur andavano molto d’accordo, Wolff capì di aver perso Hamilton. Non lo chiamò: “Non volevo metterlo in una situazione in cui avrebbe dovuto mentirmi perché in quella fase il contratto non era ancora stato firmato”.
Wolff dice anche che questo “furto” gli ha risparmiato una conversazione molto più complicata con Hamilton, visto che gli avrebbe dovuto dire che era troppo vecchio perché il suo contratto venisse rinnovato. “L’avrei fatto. Ma sarebbe stato un vero orrore per me e per lui”.
I successi di Wolff sono stati forgiati nelle avversità. “Mio padre è morto quando avevo 15 anni. Ma è stato gravemente malato di cancro al cervello per 10 anni, quindi, da bambino, ho dovuto prendere il controllo della situazione. Mia madre non era così presente perché doveva pensare alla propria sopravvivere. Ero io a prendermi cura della mia sorellina. Volevo essere responsabile di me stesso, non volevo essere imbarazzato per i miei genitori. Volevo il controllo finanziario della mia vita. È iniziato quando avevo otto anni ed è iniziato brutalmente. Non avevo scelta”.
“Ero in modalità sopravvivenza. Non c’era tempo per dispiacersi per se stessi. C’è stato un momento davvero brutto quando avevo 12 anni e ho chiamato il preside che mi ha detto: ‘Devi andare a casa perché le tue tasse scolastiche non sono state pagate’. Torni in classe, prendi lo zaino, spieghi a tua sorella in un viaggio di 45 minuti in tram perché siamo siamo stati cacciati. Lei ha 10 anni e non riesce a capirlo. Ma il trauma maggiore è stato vedere mio padre morire. Da ragazzo idolatri tuo padre e poi da adolescente devi essere in grado di odiare tuo padre per avere una relazione equilibrata. Io non potevo fare nessuna delle due cose“.
Dice che i suoi problemi mentali tornano, di tanto in tanto. “Quando attraversi delle difficoltà da bambino e non riesci a elaborarle, tornano. In situazioni di vita davvero difficili – morte, malattia, separazione – mi colpiscono. Non ha mai nulla a che fare con gli affari o lo sport. È più dura se mi tiro fuori dalla ruota del criceto. È più dura quando abbiamo un periodo di chiusura di due settimane in estate. Sto attento a tenermi impegnato con cose che mi piacciono. Non sono una persona da un mese di vacanza”.
“Ci sono momenti in cui devi solo sopravvivere mentalmente giorno per giorno. Il mio migliore amico si è suicidato quando avevo circa 30 anni. Queste cose sono molto difficili e penso a lui tutto il tempo. Ma devi farci pace. È diventato molto più facile da quando ho superato i 50 anni. Non so se hai letto Schopenhauer, ma lui fondamentalmente vede tutta la vita come una sofferenza costante. Più ti avvicini alla fine della sofferenza, meglio è. Sento quel sollievo. Sono a più di metà strada”.
“Dopo un po’, subentra una certa facilità nei confronti della vita”, dice con un sorriso. “Non sopravviveremo. Quindi godiamocela al meglio”.