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Dopo “Terra mia” Pino Daniele pensava che la sua carriera fosse finita. La casa discografica non gli rispondeva

Joe Lodato racconta in un libro il loro primo incontro: “Aveva un piccolo studio di registrazione a casa sulla porticina, un santino di san Gennaro: era tutto ciò di cui aveva bisogno”.

Dopo “Terra mia” Pino Daniele pensava che la sua carriera fosse finita. La casa discografica non gli rispondeva
A photo taken on October 23, 2013 shows Italian singer-composer Pino Daniele giving a concert in Naples. Daniele died early on January 5, 2015 at the age of 59. AFP PHOTO / MARIO LAPORTA (Photo by MARIO LAPORTA / AFP)

La rivista Ciao2001 pubblica oggi un estratto del libro “Pino Daniele: la storia mai raccontata” di Joe Lodato, che è stato il personal manager di Pino, e Franco Schipani, pubblicato da Tempesta.

“Pino Daniele pensava che dopo un solo disco, “Terra mia”, la sua carriera fosse finita. La casa discografica non gli rispondeva neanche più al telefono. Si sentiva sconfitto, deluso, con un futuro incerto, in attesa solo che gli cancellassero il contratto. Poi tutto cambiò”. 

A cambiare tutto fu l’incontro con Lodato

Tutto cominciò una sera mentre Joe preparava le valigie per tornare in America e Franco Schipani decise di fargli sentire un disco, era “Terra mia” di Pino. Da qui nacque il loro sodalizio e Lodato raconta il primo incontro

“Arrivai a Napoli e raggiunsi casa di Pino in taxi. Si era offerto di venire a prendermi ma non volevo iniziare una conversazione d’affari in macchina. Entrai in un piccolo appartamento popolare ma molto dignitoso. Probabilmente Pino aveva rimandato di un giorno il mio arrivo per tirarlo a lucido. Indossava abbigliamento militare fresco di bucato, sua moglie Dorina invece aveva sicuramente fatto visita al parrucchiere. Preparò un buonissimo caffè e poi ci lasciò per occuparsi della loro piccola Cristina”.

Un racconto ricco di particolari sulla vita dell’artista partenopeo che aveva in casa il suo piccolo studio di registrazione: “In realtà era una specie di sgabuzzino di un metro per un metro. Dentro aveva sistemato un registratore, un piccolo mixer e un microfono. Sulle pareti un paio di cuffie, vari nastri e al centro un alto sgabello da bar. Sulla porticina, un santino di san Gennaro: era tutto ciò di cui aveva bisogno”.

Il pezzo termina con una loro conversazione sulla musica che spiega tanto di Pino Daniele

“Quando sono andato in tournée con Bobby, in Belgio, credo di aver inventato il prototipo del bagaglio a mano!”, e si mise a ridere. Questa battuta non l’avevo capita. “Nel senso che avevo due jeans e due sole magliette: una per il giorno e l’altra per il live. La sera, prima del concerto, lavavo a mano la prima e la ritrovavo quasi asciutta quando tornavo in albergo, i soldi li mandavo tutti a casa. Le prime esperienze in studio invece mi sono servite per fare pratica in materia di registrazioni”, riprese, “e poi con Bobby mi sono anche divertito, perché a parte suonare i suoi successi, poi in privato facevamo il blues”. “E sei comunque riuscito a non farti distrarre dalla tua musica”, ero ammirato. “Sono due cose completamente separate, Joe. Ci sono cose che fai per vivere e altre per non morire, senza la mia musica sono morto dentro”, concluse.

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