A La Stampa: «A fine partita, quel ragazzo ha pensato bene di vendicarsi con un pugno alle spalle. Io non sono un nemico, faccio rispettare le regole, non esercito un potere»
In tutte le categorie, dalla A alla Lega Pro, in Eccellenza in tutte le regioni d’Italia e sotto qualsiasi forma, che sia fisica, verbale o psicologica, la violenza è una deplorevole costante che accompagna il lavoro degli arbitri. Oggi la Stampa riporta la testimonianza di un giovane arbitro che un anno fa ha rischiato di perdere un rene per una espulsione.
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Le testimonianze delle violenze sugli arbitri: «Non sono un nemico, faccio rispettare le regole, non esercito un potere»
Natale di un anno fa: il colpo da dietro, l’ospedale, la grande paura al termine di una sfida Juniores in provincia di Catania. Gabriele Garufi, 18 anni, ci racconti che cosa successe.
«Avevo espulso un ragazzo e, alla fine della partita, quel ragazzo ha pensato bene di vendicarsi con un pugno alle spalle: pensavo fosse un dolore passeggero, mi sono trovato in ospedale a Giarre».
Un ricordo che non passa.
«Sono rimasto due notti e tre giorni in osservazione: c’era il rischio di un’emorragia al rene. Per fortuna non è stato così».
C’è un motivo che spinge un ragazzo diciottenne, ultimo anno di liceo classico, a non pensare di smettere dopo un episodio così?
«C’è ed è l’amore per lo sport. Di questo si tratta, di sport: quando mi chiedono perché ho scelto di fare l’arbitro, rispondo che non sono un nemico e che non faccio niente di diverso rispetto a un giocatore. Si tratta di una scelta, di avere la possibilità di poter far rispettare le regole, non di esercitare un potere».
Si è mai rifatto vivo il suo coetaneo espulso?
«No. Non si è fatto vivo nessuno: lui o i suoi compagni di squadra. In quel momento è come se mi fossi sentito tradito ed è stata una bruttissima sensazione. Sono andato avanti anche grazie all’aiuto, alle parole, ai consigli di chi condivide il mio mondo. Un mondo bellissimo».