“L’autocelebrazione raramente finisce bene per gli allenatori. È una cosa strana per Guardiola che ha vinto tantissimo predicando umiltà”
E’ un attimo. Basta un gesto, quel “sei” puntato in faccia alla curva del Liverpool che lo sfotteva. Ecco, un attimo: Pep Guardiola è diventato José Mourinho. Lo scrive Oliver Brown sul Telegraph. Quel gesto, dice, “è stato preso direttamente dal playbook di José Mourinho”.
“Non potrebbe esserci un’illustrazione più sorprendente del tumulto nella mente di Guardiola. Mentre un’altra prestazione fiacca e piena di gaffe della sua squadra gli divorava l’anima, sembrava non avere idea di come fermare la caduta”. E così… ha fatto il Mourinho.
Proprio “il rivale pavoneggiante che era solito disdegnare come el puto jefe, el puto amo”, (nemmeno c’è bisogno di tradurlo). “È vero, le sei dita erano sollevate con un sorriso piuttosto che con un ringhio alla José. Ma il sottotesto era simile”.
Il Telegraph scrive di “messaggio decisamente insolito. Guardiola potrebbe essere l’allenatore più inghirlandato dei tempi moderni, avendo vinto 34 trofei in carriera, ma non lo ha mai pubblicizzato troppo apertamente. Ogni volta che le domande sono state orientate verso le sue imprese personali, ha predicato l’umiltà, a suggerire che tutto ciò che ha ottenuto al City, al Barcellona e al Bayern Monaco è più una testimonianza della qualità dei suoi giocatori che del suo genio generazionale”.
Invece adesso Guardiola “evoca il tipo di mentalità da assedio che è di solito l’ultimo rifugio dei disperati. Mourinho ne fece un’abitudine. Chi potrebbe dimenticare le tre dita che, da allenatore del Manchester United, brandì in segno di sfida alle provocazioni dei tifosi del Chelsea nel 2017 e nel 2018? O la dolorosa invettiva che scatenò contro i giornalisti dopo una sconfitta interna per 3-0 contro il Tottenham?”. Quel “ho vinto più Premier da solo degli altri 19 allenatori messi insieme”
Poi Mou fu licenziato, e secondo Brown “è impensabile che il City faccia lo stesso con Guardiola”, anche se “sta andando tutto a rotoli”.
In ogni caso “l’autocelebrazione raramente finisce bene per gli allenatori”.