Al Corsera: “Su una moto ci sono quasi morto. Una volta Valentino mi ha ‘rubato” la moto per provarla. Marquez? Se c’è uno che ce la può avere con lui è Rossi”
Guido Meda è la MotoGp in Italia, il suo riflesso telecronistico. E’ un brand collaterale. Intervistato dal Corriere della Sera racconta un bel po’ di aneddoti, anche molto personali. Un paio su Valentino Rossi che tradiscono perfettamente il clima di quel motociclismo.
Racconta per esempio che in moto, stava per morire. E poi anche in barca. “Era il 2003, stavo andando in redazione. Viale Forlanini, una signora con una Toyota fa inversione. Si ferma, penso “Mi ha visto” e do gas. Ma una volta vicino, lei riparte. Per evitarla prendo lo spartitraffico con il guard rail, i cartelli, il marciapiede altissimo. La moto si spacca in due, una metà finisce in fiamme, l’altra su un taxi. Io nel mezzo, sdraiato. Primo pensiero: che avrei dovuto comprare una Harley-Davidson, basta con le sportive. Dieci fratture, braccio destro paralizzato e a penzoloni. Per 10 centimetri non ho battuto il collo, altrimenti non sarei qui. Ma non ho mai avuto l’impressione di morire, forse non era arrivata la mia ora. Ricordo gli occhi azzurri del dottore del Fatebenefratelli, che mi guarda e mi fa. “Non siamo attrezzati per un politrauma come il suo”. Mi mandò da un suo fidato collega del Galeazzi, si chiamava Berlusconi. “Guardi, sicuramente vuole bene ai suoi dipendenti, ma non credo proprio venga a trovarmi” risposi. Comunque l’incidente mi tornò utile. Prima di tutto mi ha reso più forte e più unito alla mia famiglia. E poi entrai in empatia coi piloti, mi sono sentito uno di loro. Mi venivano a trovare, nel paddock se ne parlava. La cicatrice sulla clavicola se non ce l’hai sei uno sfigato“.
Nel 2018 il naufragio in barca: “Eravamo ospiti di amici, ci sorprese una tempesta improvvisa. La barca affondò a 500 metri dalla costa del Giglio, ci ritrovammo sulla zattera in acqua con 30 nodi di vento e onde di tre metri. Per fortuna, da terra, un gruppetto di persone vide la scena e diede l’allarme. La capitaneria di porto ci fece soccorrere da una barca che stava lavorando al recupero della Concordia“.
Una vita in mezzo ai campioni. Pantani: “Lo intervisto dopo l’incidente causato dal gatto nero a Cava de’ Tirreni. Lo avevano operato alla gamba, malconcissima. Un grave intoppo gli stava frenando la carriera, ma non riusciva a pensare negativo. Parlava di sé come di un’auto dal meccanico. Pensai. “Mazza questo che iena, non appena l’osso si rinsalda torna come prima”. Così fu”.
Tomba. “Siamo coetanei, ne ho seguito tutta l’epopea. Il talento superava enormemente la preparazione. Si concentrava solo a pochi minuti dalla gara, prima cazzeggiava allegramente. Scavava una buca nella neve, ci metteva gli scarponi e copriva tutto perché la plastica, raffreddandosi, si stringeva intorno al piede, rendendolo più sensibile. Una volta mi invitò anche al suo compleanno, in una piccola baita sull’appennino bolognese, saremmo stati una ventina. Arrivai con mia moglie, allora ancora compagna, e nell’ordine trovai Vasco Rossi, Max Biaggi e Biagio Antonacci. Cantarono per noi, Vasco mi guardò. “Hai lo sguardo complicato stasera”. Aveva ragione, per lei avevo lasciato la fidanzata con cui ero stato 13 anni. Era un periodo bello incasinato”.
E ovviamente Valentino Rossi: “Una sera eravamo entrambi allo Spaccanoci, programma condotto da Fabio Volo su Italia 1. All’uscita lui e il fidato Uccio si incamminarono verso la loro Bmw. Era novembre, faceva freddo, c’era la nebbia. Io ero arrivato con la Mv Augusta Brutale 750, era appena uscita, me l’aveva prestata un amico. Vale vede il casco, si incuriosisce. “Diobò Meda, che moto hai?”; “Una Brutale”; “Ma veramente? Voglio provarla”. Ho provato a farlo desistere. “No dai Vale, se ti fai male passiamo un guaio”. Mi guarda. “Cosa è, non ti fidi?”. Come fai a dire a Valentino che non ti fidi di lui? Eravamo in via Feltre, sfrecciò via. Pensavo a quelli che se lo sarebbero trovato davanti. “Ma chi si crede di essere questo, Valentino Rossi?”. Sì ragazzi, è proprio lui”.
Valentino “è rimasto uno di Tavullia, coi piedi per terra senza snobismi. Ricordo un sabato sera, vigilia di un Gran premio del Mugello, primi anni Duemila. Saranno state le 2 di notte, torno con i colleghi dal ristorante e incrocio un amico che mi indica il bosco. “Lì c’è una festa, ci sono anche i piloti”. Pensavo si riferisse alle vecchie glorie, vado, mi aprono la porta. Valentino era a capotavola con un bicchiere di rosso. Volevo andarmene, ero imbarazzato, se la gara fosse stata un disastro avrei dovuto ometterlo. Ma il giorno dopo stravinse“.
Nel 2015 Meda si è arrabbiato con Marquez… quando lo spagnolo ostacolò Rossi nella corsa al Mondiale. “Come tutti quelli che erano lì e hanno sofferto un capitolo brutto. Ma da diversi anni non ne parlo più. Se penso alla gente, al mio ruolo, al fatto che sono un padre di famiglia, dico che trascinarsi dietro i rancori non porta da nessuna parte. Mettiamola così: se c’è una persona legittimata ad avercela con Marquez è Valentino, ma per il resto è meglio andare avanti che restare indietro”.
La morte di Simoncelli: “Esco dalla cabina, mi incammino nel paddock. Ricordo un silenzio inquietante, mai sentito prima. Non parlava nessuno, qualcuno era seduto sotto le palme con la testa fra le mani. Daniel Pedrosa, con cui avevo un rapporto normale, si avvicina e mi abbraccia. Piangiamo insieme, ci confortiamo. Poi sono andato al centro medico a salutare Marco”.