“Agli americani piace guardare lo sport in cui lo spettatore può entrare nella mente dell’allenatore. E questo nel calcio non succedeva. Ora sì”
“Ho un cognato di New York da più di mezzo secolo, un ragazzo davvero simpatico, tifoso degli Yankees. Un giorno gli ho chiesto perché agli americani non piace il calcio. Mi ha detto che agli americani piace guardare solo lo sport in Tv in cui lo spettatore può entrare nella mente dell’allenatore, pensare con lui. E questo non succede nel calcio”, racconta Alfredo Relano su El Paìs.
In realtà adesso le cose stanno cambiando, ammette Relano. Anzi. Il calcio si sta americanizzando. “Negli sport americani l’allenatore non smette mai di progettare cambiamenti e possibili giocate. Quando il basket ci è arrivato in televisione, l’atteggiamento dei suoi allenatori, che stavano in piedi, saltavano e gridavano mentre toglievano e mettevano continuamente giocatori, contrastava molto con la passività degli allenatori di calcio, seduti in panchina, soggetti passivi della vittoria o della sconfitta. Non è più così. Abbiamo iniziato al 70esimo per il pio imperativo di non far soffrire gli zoppi in campo, e stiamo già facendo cinque cambi, sei se ci saranno i supplementari o una botta in testa. Nelle telecronache è ormai una costante per il cronista chiedere al bordocampista cosa sta facendo, dicendo, pensando o guardando l’allenatore. E quando i sostituti iniziano a scaldarsi, tutti si precipitano a speculare su chi verrà sostituito e se cambierà o meno lo schema tattico”.
Ma secondo Relano i sintomi sono tanti: “Numeri personali, sostitutivi della venerabile scala posizionale da 2 a 11; le interruzioni, ottime lì per comprare i popcorn, la pausa per l’idratazione e l’improvvisa abitudine di fermarsi appena si è a terra; la volatilità della forza lavoro, conseguenza del potere degli agenti; le statistiche, nate nel baseball, un’irruzione invasiva con concetti come i goal attesi; i blocchi ad ogni angolo, con cui gli arbitri non sanno cosa fare. Il prossimo sarà il tempo effettivo”.
E poi c’è il Var: “Non molto tempo fa, per portare la squadra arbitrale alla partita bastava un taxi, ora serve un pulmino”.
Insomma, scrive Relano, “gli americani hanno colonizzato il mondo con quasi tutto, ma non con lo sport, nel quale solo il basket ha una certa presenza universale. Forse è per questo che il calcio ha deciso di sintonizzarsi per accontentare gli indifferenti. O forse la persona indifferente ha smesso di esserlo ed è disposta a fare del calcio la 51esima stella sulla sua bandiera. Hanno già più squadre di Premier degli sceicchi e hanno appena fatto irruzione nel calendario, occupando metà giugno e metà luglio per un nuovo Mondiale per club. E nel 2026 lì, insieme ai paesi vicini, si svolgeranno anche i Mondiali”. “Né credo che questo vento americano sia estraneo al carosello di aggiustamenti del Regolamento, molto in linea con quella voglia di novità che definisce l’American way of life”.