Al Corsport: «Il mio difetto? Non essere paraculo. Il calcio è in mano a gente che non capisce niente. Un grande comunicatore non vince tutti i titoli più importanti»
José Mourinho, oggi al Fenerbahce, intervistato da Ivan Zazzaroni per il Corriere dello Sport.
«Sono tornato in campo tre giorni dopo l’intervento in laparo alla cistifellea. Mi sono rimesso subito a lavorare perché è la cosa che mi piace di più e che so fare meglio».
«Un grande comunicatore non vince tutti i titoli più importanti del calcio».
Dove risiede la grandezza di un allenatore?
«Nella carriera, non nel momento. La grandezza di un allenatore è nei risultati, non nella filosofia. E nell’umanità, non nell’egocentrismo. Nel coraggio, non nell’autotutela. Nell’onestà, non nel relazionale. Nella sintonia con la nuova generazione di colleghi. Nel riuscire a dormire bene di notte perché sa di essere stato sempre indipendente intellettualmente e verticale».
La crisi del City di Guardiola ha rilanciato l’importanza dell’aspetto mentale: i giocatori sono sempre gli stessi – certo manca Rodri – ma i risultati sono spaventosamente negativi?
«Solo Pep può parlare con cognizione di causa del suo caso. Il resto sono banalità, è superficialità».
Si parla tanto di evoluzione del calcio: secondo te dove si è realmente evoluto e dove invece è sempre uguale?
«Uguale? Chi segna un gol in più o ne subisce uno in meno, vince. Evoluto, dici? L’allenatore, che fino a poco tempo fa era una figura fondamentale nella struttura del club, è diventato progressivamente meno importante e sempre più dipendente da strutture e personaggi il più delle volte impreparati. Calcio giocato? Calcio allenato? Calcio analizzato? Ci sono stati cambiamenti su tutti i piani e a tutti i livelli».
Mourinho e il calcio in mano ai fenomeni
E altri potrebbero esserci. Cosa pensi del Var a chiamata e del tempo effettivo?
«Sono l’ultimo che può parlare di Var e tempo effettivo. Lasciamo questi argomenti ai fenomeni del calcio. Io sono solo
un allenatore e voglio fare solo l’allenatore».
I fenomeni del calcio? Scusa, chi?
«Gli allenatori bravi che non sanno vincere, gli esperti dei social media e gente che ha potere decisionale ma che sa di calcio come io di fisica dell’atomo. Il calcio è il regno della superficialità e dei luoghi comuni e un’etichetta non si nega a nessuno. Di solito quando la gente parla di me pensa a cosa è successo quindici, dodici, otto o dieci anni fa. È così per la maggior parte dei grandi allenatori che di solito guidano le squadre migliori e hanno le maggiori possibilità di arrivare in finale. Negli ultimi anni ho fatto tre finali, una con il Manchester United e due con la Roma. Guardo a tutto ciò un po’ divertito, e allo stesso tempo con orgoglio perché quando fai questo con un club senza storia in Europa, ti rendi conto che hai realizzato qualcosa di speciale».
È vero che prima di lasciare Roma acquistasti un biglietto per andare a salutare i tifosi all’Olimpico?
Mourinho: «Non uno, quattro. Ero in hotel con i miei assistenti che mi dissero: “Mister, meriti di salutare i tifosi e i tifosi meritano di salutare te. Andiamo”. Ci ho pensato qualche ora, poi ho temuto che mi avrebbero accusato di voler disturbare e io non faccio queste cose, mai».
Segui ancora Roma e Inter?
«Non ho più visto giocare la Roma. L’Inter, sì».
La qualità che ti riconosci?
«L’umiltà, la lealtà e l’educazione… Adesso tanti rideranno. Anch’io sorrido pensando alla gente che ride di questa affermazione, però è così… E il difetto, non essere paraculo».