Non esplora più nuove soluzioni. Troppi equivoci irrisolti. Lukaku mai lanciato in profondità, non ha un pallone giocabile. Il tecnico deve intervenire
La (prima) spia rossa
La sconfitta contro la Lazio 0-1, molto più che quella contro l’Atalanta, deve necessariamente far accendere una spia rossa nel cruscotto di Antonio Conte. La prima spia rossa da quando il Napoli ha iniziato a essere una squadra-di-Conte, cioè dopo la partita contro il Verona a Ferragosto. Il motivo è presto detto: nonostante la presenza dei titolari, gli azzurri hanno fatto un’estrema fatica a essere pericolosi in attacco. Sono stati prevedibili, per la Lazio è stato relativamente semplice uscire indenne dal Maradona.
Inoltre, e non è una cosa secondaria, la squadra di Baroni ha conquistato tre punti senza mai piegarsi al Napoli, intendiamo dal punto di vista tattico. Conte, insomma, ha perso i punti e il duello strategico con il suo avversario di giornata. E l’ha perso perché a oggi, il suo Napoli, sembra essere rimasto intrappolato/impantanato in una serie di equivoci irrisolti. Equivoci che, come dire, vengono fuori più facilmente quando l’avversario di turno ha qualità e organizzazione.
Le formazioni iniziali, in questo senso, restituiscono una prima istantanea di quello che sta succedendo: sia Conte che Baroni hanno confermato i moduli di gioco che li hanno portati ai vertici della classifica, E quindi 4-3-3 fluido per il Napoli e 4-4-2 old school per la Lazio. Nella composizione delle formazioni, però, le cose sono andate diversamente: se a centrocampo Conte ha schierato i soliti Lobotka-Anguissa-McTominay, Baroni ha dato un’impronta ancora più offensiva alla sua squadra. Per sostituire lo squalificato Rovella come spalla di Guendouzi, infatti, il prescelto è stato Dele-Bashiru. In questo modo, il tecnico della Lazio ha stravolto un po’ il suo classico piano. Ecco come:
Il 4-4-2 della Lazio è solo teorico
La Lazio, come si vede da questi screen, in realtà ha utilizzato il 4-4-2 solo in fase di non possesso. La squadra di Baroni, nei momenti in cui doveva costruire gioco, si è disposta con un una sorta di 3-3-1-3: Guendouzi si abbassava sulla linea dei difensori centrali per impostare, i due esterni bassi (Marusic e Tavares) si alzavano con Dele-Bashiru a dare supporto da ambo i lati; Dia era l’uomo tra le linee dietro il tridente composto da Isaksen, Castellanos e Zaccagni. Il Napoli ha provato a rispondere, almeno nei primi minuti di gioco, esasperando il concetto di marcatura a uomo. Sotto ci sono un paio di frame in cui vediamo degli accoppiamenti a tutto campo in fase di pressing, soprattutto sulla prima costruzione della squadra di Baroni.
Come si deformava il 4-4-2 difensivo degli azzurri per seguire uomo su uomo i giocatori della Lazio
Dal punto di vista offensivo, e qui torniamo subito al discorso fatto in precedenza, la squadra di Conte non ha offerto nulla di nuovo. Il solito 4-3-3 spurio, con McTominay uomo-cuneo in grado di trasformare lo schema in un 4-2-3-1, ha prodotto una sola conclusione pulita nel primo tempo, proprio quella tentata da McTominay dopo due minuti.
Per il resto, alla Lazio è bastato fare pochissimo per difendersi: il 4-4-2 di Baroni ha coperto benissimo il centro e ha costretto il Napoli a giocare il 75% delle azioni sulle fasce. Esatto, avete letto bene: per 3 possessi su 4, la squadra di Conte è dovuta/ha deciso di passare per gli esterni. È così che gli azzurri è venuta fuori una partita di puro crossing game. Fatta anche male, tra l’altro: sui 28 (!) traversoni tentati dai giocatori del Napoli, in media uno ogni tre minuti di gioco, soltanto 4 hanno trovato la deviazione di un loro compagno.
Lukaku e il ribaltamento del nesso causa-effetto
A questo punto, è quasi naturale arrivare a Romelu Lukaku. Ma non per parlare della sua prestazione individuale, che resta incolore o forse anche grigia, ma per ribaltare il nesso causa-effetto rispetto al suo impatto sul Napoli. Il numero dei cross tentati e riusciti dai compagni del centravanti belga è significativo, nel senso che mostra quanto sia stato difficile, per Lukaku, avere dei palloni giocabili. Il punto è che questa imprecisione in fase di rifinitura è solo uno dei problemi manifestati dalla squadra di Conte. Che, per dirla in parole povere e brutali, da settimane ha smarrito qualsiasi tipo di tensione verticale.
Cosa intendiamo? Semplice: il Napoli, da un po’ di partite a questa parte, è una squadra che non riesce a innescare Lukaku in nessun modo. Che fa fatica ad andare oltre i giochi sulle fasce dopo la costruzione dal basso. E che, come già detto in precedenza, risulta facilmente leggibile per i suoi avversari. Sotto vediamo la mappa dei palloni giocati dal centravanti belga, appena 14. E ci aggiungiamo anche il dato sui duelli uno contro uno: ne ha affrontato uno, soltanto uno, di testa. E l’ha vinto.
Tutti (ehm) i palloni giocati da Lukaku nel corso di Napoli-Lzio
Tutto questo serve a dire/dimostrare che sì, Lukaku starà anche vivendo un periodo molto negativo. Ma è vero pure che il Napoli è (diventato) una squadra che gioca in maniera completamente diversa rispetto al suo stesso centravanti. Perché ci saranno anche dei cross sbagliati l’abbiamo detto, ma ci sono anche zero tentativi di lanciare Lukaku in profondità, giusto qualche tocco in verticale che gli permetta di fare gioco da pivot, in post basso. Per il resto, Lukaku è del tutto avulso alla manovra della sua squadra.
Ecco perché parlavamo di ribaltamento del nesso causa-effetto: in questo momento, si può/deve dire che sia il Napoli a far giocare male Lukaku. A non sfruttarne per niente le caratteristiche. Poi certo, magari Conte sa che il suo attaccante non è ancora al top della condizione – ma siamo a metà dicembre, sarebbe anche ora che ci arrivasse, no? – e quindi non ha ancora “sguinzagliato” la sua squadra in modo che possa assecondare meglio la sua prima punta. Ma la sensazione è che i compromessi e gli esperimenti tattici fatti finora da Conte abbiano sancito uno strappo netto, abbiano tolto Lukaku dal vivo del gioco.
Stagnazione
Da tutto questo, viene fuori la sensazione per cui il Napoli sia una squadra che sta attraversando una fase di stagnazione tattica. Che, di fatto, ha smesso di esplorare nuove soluzioni. Quindi, di crescere. Contro la Lazio, tanto per snocciolare altri numeri eloquenti per non dire inquietanti, gli azzurri hanno costruito una sola conclusione non respinta dall’interno dell’area – il colpo di testa di Anguissa finito sul palo esterno, per altro su cross da palla inattiva – e una sola grande occasione su azione manovrata: ne abbiamo già parlato prima, quella di McTominay al minuto 2′. Proprio l’azione conclusa con il tiro del centrocampista scozzese rappresenta e restituisce ciò che il Napoli fa – e quindi è – in questo momento: manovra di accerchiamento, ribaltamento del fronte offensivo, buon interscambio e ottima combinazione sulla fascia, cross al centro e conclusione:
Ok, è una buona azione: ma se si ripete costantemente, vuol dire che c’è qualcosa che non va
Il problema, però, è che la squadra di Conte ha continuato a fare questo per tutto il resto della partita. Questo e poco altro. A Baroni è bastato chiedere ai due esterni offensivi – Isaksen e Zaccagni – di rinculare molto in fase difensiva, così da supportare Marusic e Nuno Tavares, e a quel punto il Napoli è stato quasi completamente depotenziato. L’unica altra conclusione pericolosa degli azzurri, infatti, è arrivata grazie a una punizione telecomandata di Kvara – finita fuori di pochi centimetri. Per il resto, la sola parata compiuta da Provedel è arrivata su un tiro debole e centrale di Anguissa. Sì, esatto: al di là di qualche presa in uscita, portiere della Lazio non ha dovuto fare nessun altro intervento in tutta la partita.
Questa difficoltà a creare azioni pulite e imprevedibili, alla lunga, ha determinato le condizioni perché la Lazio trovasse il vantaggio e la vittoria. Il gol di Isaksen, infatti, nasce dall’ennesimo gioco a due tentato dagli esterni di destra (Di Lorenzo e David Neres, subentrato a Politano) mentre tutto il Napoli si era inevitabilmente sbilanciato per cercare di riempire la metà campo avversaria e l’area di rigore con molti uomini: i dribbling e la conclusione tentati dall’esterno brasiliano non sono andati a buon fine, Di Lorenzo era in sovrapposizione e così una ripartenza veloce e in verticale ha portato gli azzurri a difendere in situazione di parità numerica contro Noslin e Isaksen. Olivera è stato prima ingenuo nella leggere dell’apertura di Noslin verso Isaksen, poi è stato anche sfortunato nel deviare la conclusione a giro dell’esterno danese. Di fatto l’ha resa imparabile per Meret.
Tre passaggi, gol
Forse la Lazio non avrebbe meritato di vincere la partita (anche gli xG di Sofascore dicono che la squadra di Baroni ne ha prodotti solo 0.26, contro gli 0.6 del Napoli), ma il Napoli ha meritato di subire questo gol. È una frase che può sembrare paradossale, ma che in qualche modo descrive quelli che sono i problemi tattici della squadra di Conte. Che, di fatto, al minuto 80 ha dovuto allungarsi moltissimo sul campo per costruire un’azione pericolosa. Per provarci, quantomeno. E così si è fatalmente esposta alla ripartenza avversaria. Detto così può sembrare che la cosa sia frutto di un episodio, e in parte è certamente così. Ma c’è un problema di fondo: il Napoli non è stato mai davvero pericoloso lungo l’intero arco della gara contro la Lazio. E allora vuol dire che qualcosa non funziona (più) bene.
La solidità difensiva e i cambi
Ovviamente non è il momento di buttare via tutto il lavoro fatto finora. La Lazio, come detto, è venuta a giocare allo stadio Maradona tenendo un atteggiamento ambizioso, offensivo, ha vinto la partita senza snaturarsi. Inoltre, ripetiamolo ancora una volta, ha messo in evidenza gli equivoci che frenano il Napoli da alcune settimane – altri merito significativo. Eppure, nonostante tutto, la squadra di Baroni ha messo insieme soltanto 3 tiri in porta, tutti scoccati da fuori area, e una conclusione da 35 metri finita sulla traversa. Come dire: la solidità difensiva del Napoli resta viva, è un fatto, anche contro uno dei migliori attacchi della Serie A (30 gol fatti).
Il gol di Isaksen è arrivato poco dopo il primo cambio ordinato da Conte, ovvero David Neres al posto di Politano. Poi dopo sono entrati anche Raspadori e Gilmour, determinando il passaggio al 4-2-4 puro. Ecco, questo è un altro punto importante: al minuto 72′ Baroni aveva già ridisegnato un po’ la Lazio inserendo Noslin e Pedro per Dia e Castellanos, mentre Conte non ha toccato davvero la sua squadra fin quando non è andato in svantaggio. Anche questa, in qualche modo, può essere letta come una mancanza di coraggio in senso trasformativo.
È come se l’allenatore del Napoli si stesse un po’ fossilizzando su determinati uomini e determinati concetti. Quando invece la sua forza, da inizio stagione fino a qualche settimana fa, è stata la capacità di leggere e interpretare i segnali che gli arrivavano dagli allenamenti e dalle partite. Così aveva modificato il suo Napoli in maniera consequenziale. In questo senso, c’è un dato piuttosto significativo: al netto del cambio Lobotka-Gilmour, un cambio forzato per via del problema muscolare che ha tenuto fermo il regista slovacco, Conte schiera sempre la stessa formazione iniziale da sei partite di campionato. L’ultimo undici titolare wild, cioè con giocatori diversi da quelli canonici, è sceso in campo il 29 ottobre scorso (Napoli-Lecce 1-0).
Conclusioni
Quando un allenatore di calcio riesce a trovare equilibri solidi e che portano risultati, beh, è difficile che quegli equilibri vengano toccati. In fondo la volontà di crogiolarsi nella stabilità e nelle certezze acquisite è un desiderio molto umano, quindi non è difficile capire perché Conte si sia comportato e si stia comportando in un certo modo. Adesso, però, il Napoli ha bisogno di un qualcosa di diverso. Di un intervento da parte del suo allenatore.
È vero che il ciclo terribile è ormai alle spalle, ma è vero pure che gli azzurri torneranno ad affrontare squadre di qualità e organizzate come la Lazio. Anche più forti e più organizzate della Lazio, con tutto il rispetto. Ed è sbagliato, anzi è proprio ingiusto, pensare che Conte e i suoi giocatori non possano andare oltre a quanto abbiamo visto finora.
Anche perché, molto banalmente, la squadra che ha tenuto il primo posto per nove giornate è nata proprio a partire da prove, tentativi, errori e riscritture tattiche. Insomma, Conte, il suo staff e la sua squadra hanno già dimostrato di poter lavorare abbracciando la variabilità e la complessità, abiurando il concetto di stabilità. Una sconfitta come quella maturata contro la Lazio può anche essere frutto del caso, ma il modo in cui è arrivata non lo è. È un segnale chiaro, ed è dal modo in cui verrà interpretato che passano le ambizioni – e quindi il futuro – del Napoli.