Nel secondo tempo ha inserito più varianti: dal lancio in profondità a Lukaku, all’uno due Simeone-Anguissa. Si può. Anche con qualche non titolarissimo
Una partita significativa
Udinese-Napoli 1-3 è stata una partita dal grande significato. Al di là delle evidenti risposte emotive che ha fornito nella ripresa, di cui ha scritto qui Massimiliano Gallo, in Friuli la squadra di Conte ha fatto vedere tantissime cose. Ha fatto vedere quelli che sono i suoi limiti attuali, i suoi problemi, ma anche le possibili soluzioni, i margini in cui l’allenatore può – anzi: deve – insinuarsi per dare fiato alle ambizioni degli azzurri. Il discorso non riguarda soltanto l’enorme distanza tra quanto fatto nel primo e nel secondo tempo, ma l’intero impianto tattico del Napoli. Che resta una squadra di vertice, questo è chiaro, ma non ha ancora mostrato tutto il suo reale potenziale.
Dal punto di vista puramente tattico, non poteva esserci avversario peggiore per la condizione attuale del Napoli. L’Udinese vista nel primo tempo, infatti, è sembrata una squadra costruita su misura per dare fastidio al sistema abbracciato – ormai definitivamente, ci sembra di poter dire – da Antonio Conte, un 4-3-3/4-5-1 sempre più puro, sempre meno fluido e quindi sempre più monocorde. La squadra friulana, infatti, si è incastrata perfettamente agli azzurri grazie a un 3-5-2 iper-aggressivo e iper-verticale, fondato sull’esasperazione del pressing uomo su uomo e sulla ricerca immediata dei servizi verso i due uomini avanzati, Lucca e Thauvin.
Le marcature uomo su uomo dell’Udinese, 3-5-2 contro 4-3-3
È bastato questo, cioè pochissimo, per inibire il Napoli. Per depotenziarlo in maniera quasi totale. Dal canto suo, parliamo sempre di primo tempo, la squadra di Conte ha dato l’impressione di essere ancora più statica – nelle sue posizioni, nella sua proposta di gioco – rispetto alla gara giocata contro la Lazio. L’unica fonte di elettricità e quindi di novità, ed era francamente inevitabile visto che Conte ha operato giusto un cambio (forzato), è stato David Neres schierato a sinistra, sul suo piede forte.
I dati, più o meno come sempre, confermano queste letture: nei primi 45′ di gioco, il Napoli ha scoccato soltanto 2 tiri non respinti verso la porta di Sava, uno sugli sviluppi di un’azione d’angolo (quello di Anguissa dall’interno dell’area di rigore) e uno a dir poco velleitario, con Olivera da 30 metri. Per il resto, le uniche azioni pericolose create dagli azzurri sono state quelle – per l’appunto – di Neres, che ha strozzato troppo un diagonale dall’interno dell’area e che ha servito un cross deviato che stava per beffare il portiere dell’Udinese. Anche i numeri dell’esterno brasiliano sottoscrivono quanto detto in precedenza: al di là di queste chance, nel primo tempo Neres ha messo insieme 3 dribbling (2 riusciti e uno fallito), 3 cross tentati e 4 contrasti subiti, più di tutti i suoi compagni di squadra messi insieme.
Sempre la stessa storia
Quando non è passato da Neres, il Napoli ha giocato la sua – ormai consueta – partita fatta di giropalla intensivo (all’intervallo le percentuali grezze di possesso erano 72% Napoli e 28% Udinese), di ricerca ossessiva delle combinazioni sull’esterno (a fine partita il dato sulle azioni costruite sulle due fasce è stato del 78%), di pochissimi palloni buoni per Lukaku. Che a sua volta, anche perché asfissiato a tutto campo da Bijol, ha offerto un contributo poco più che risibile: 9 palloni toccati, di cui uno sul calcio d’inizio dopo il gol di Thauvin. E zero in area di rigore.
Il primo tempo di Romelu Lukaku
Insomma, il Napoli ha raccontato sempre la stessa storia. E quindi ha manifestato gli stessi limiti palesati nell’ultimo periodo, alimentando la sensazione per cui il gioco offensivo sta ristagnando. È un discorso di varietà – nel senso che la squadra di Conte sembra ripetere pedissequamente gli stessi schemi – ma anche di intensità, come si vedrà bene nella ripresa. Da questo punto di vista, l’Udinese del primo tempo – una squadra cortissima e schierata bassa: tutta racchiusa in 28 metri, col baricentro posto a 42 metri, ben al di qua della linea di centrocampo – ha fatto la partita che doveva fare: dopo un inizio guardingo, come detto, ha alzato i giri del pressing, ha costretto il Napoli a un po’ di errori in fase di costruzione bassa. E proprio così ha conquistato il rigore prima sbagliato e poi ribadito in rete da Thauvin. Ecco la testimonianza video:
Due recuperi palla in pochi secondi
Anche l’unica altra occasione vera costruita dall’Udinese nel primo tempo, un tiro sbilenco di Thauvin appena fuori l’area di rigore, è arrivata dopo un recupero palla in zona altissima. Insomma, il tecnico tedesco Runjaic aveva escogitato il piano-partita giusto per bloccare e per mettere in difficoltà il Napoli. Laddove finiscono i meriti dell’allenatore dell’Udinese, però, iniziano i demeriti di Conte e dei suoi giocatori: come detto il rigore e il tiro di Thauvin sono state le uniche chance di un certo rilievo concesse all’Udinese, ma è vero pure che il Napoli ha prodotto davvero poco. E quello che ha prodotto è stato frutto delle iniziative personali di Neres, l’unico giocatore in grado di scompaginare un po’ il gioco ripetitivo degli azzurri.
Intensità
È inutile cercare di ricostruire l’intervallo del Napoli partendo dalle parole dei giocatori e dello stesso Conte. Di certo, però, l’allenatore azzurro ha toccato le corde giuste. Quelle emotive, ma anche quelle tattiche. Perché il Napoli del secondo tempo di Udine è stato completamente diverso rispetto a quello visto nei primi 45′ di gioco. Basta riguardare l’azione del gol di Lukaku, dopo soli cinque minuti dal calcio d’inizio della ripresa, per capire cosa intendiamo:
Sembra la solita azione lenta e stanca, ma all’improvviso accelera in maniera vertiginosa. E decisiva.
È tutto così semplice da sembrare autoevidente. Anzi: lapalissiano. Il Napoli non ha cambiato il suo tipo di gioco, ma ha alzato l’intensità delle sue giocate. Ecco, quello di intensità è un concetto che si presta spesso a interpretazioni sbagliate, che rimanda sempre e solo all’idea di correre di più e di portare contrasti più duri. È sicuramente così, ma c’è anche un altro tipo di intensità: quella tecnica, quella che si determina attraverso la velocità – e naturalmente le precisione – con cui viene mosso il pallone.
In questo caso specifico, l’ennesima azione costruita dal basso e che si sviluppa su una fascia, in particolare quella sinistra, finisce per aprire uno spazio. Perché l’Udinese porta tanti uomini in pressione, ma i giocatori del Napoli mandano a vuoto questa aggressività, fanno girare velocemente la sfera e sono rapidi – con le gambe, ma anche con la testa – quando intervengono sui palloni contesi. Quelli definiti mezzi e mezzi, dagli addetti ai lavori.
Verticalità
Infine, ma non in ordine di importanza, c’è il passaggio di McTominay per Lukaku: non sulla figura ma nello spazio, non addosso ma dietro la linea difensiva dell’Udinese. È un tipo di assist che rende incontenibile, si può dire letale, anche questo Lukaku un po’ imbolsito: il centravanti belga scatta bene in avanti e così aggira la marcatura di Bijol, vince il successivo duello spalla a spalla (con Giannetti) e poi batte il portiere con un tiro solo apparentemente semplice.
Torniamo a un concetto che abbiamo utilizzato spesso, in questo spazio di analisi tattica: quello della verticalità. Il Napoli di Conte, soprattutto nelle ultime partite, sembrava aver completamente perso questa tendenza/possibilità di andare ad attaccare – con Lukaku, ma anche in generale – con passaggi diretti, dietro le spalle dei difensori avversari. Non è solo un modo per sfruttare le caratteristiche di Lukaku, ma anche semplicemente per creare tensione e confondere la difesa avversaria.
Cosa può determinare uno scatto in profondità
Per capire cosa intendiamo, basta guardare questo screen: è il momento esatto in cui McTominay sta per servire Lukaku, il centravanti belga sta scattando dietro la linea a tre dell’Udinese. Se avesse fatto come nel primo tempo, se fosse rimasto piantato ad aspettare la palla e/o se McTominay non avesse dettato quel passaggio, a Bijol sarebbe bastato pochissimo per difendere in modo efficace: tentativo di anticipo o comunque marcatura corpo a corpo. Attaccando la profondità, invece, Lukaku ha tolto punti di riferimento ai suoi marcatori. Ha determinato un dilemma nella testa dei difensori dell’Udinese e quindi ha creato uno scompenso. Poi le sue doti gli hanno permesso di sfruttare al massimo quel tipo di situazione.
Varietà
Il punto non è tanto la mancanza di verticalità in quanto tale: è la possibile presenza di una variante di gioco. Se l’Udinese – o qualsiasi altra avversaria – deve difendere sempre sugli stessi meccanismi, ha sicuramente più possibilità di farlo in modo efficiente. E infatti dal gol di Lukaku in poi, non a caso viene da dire, il Napoli ha ricominciato a tessere la sua tela consolidata. Solo che, ripetiamo, lo ha fatto con maggiore velocità e intensità. Certo, su questa sensazione – non misurabile – pesa anche il calo fisico e mentale dell’Udinese, un calo inevitabile dopo un primo tempo giocato ad altissimo ritmo. Ma il Napoli, alla fine, ha meritato la vittoria. Perché ha giocato in modo convinto e – finalmente – vario, senza scomporre i suoi equilibri.
In questo senso, anche i numeri sono indicativi: nel secondo tempo, la squadra di Conte ha tirato 8 volte verso la porta di Sava (tutte dall’interno dell’area di rigore, per altro), ha centrato per 2 volte lo specchio e ha causato l’autogol di Giannetti. Dall’altra parte del campo, l’Udinese ha messo insieme 0 conclusioni verso la porta del Napoli. Sì, avete letto bene: nel secondo tempo, la squadra di Runjaic non ha mai tirato dentro o fuori lo specchio difeso da Meret.
Prova a prendermi/1
Ad alimentare questa sensazione di varietà e di pericolosità offensiva perenne, da parte degli azzurri, ci sono le azioni dei due gol decisivi. Quello di Neres (sarebbe autogol di Giannetti, ma ci siamo capiti), lo vedete sopra, nasce da uno dei tantissimi palloni giocati verso gli esterni offensivi, solo che il brasiliano l’ha trasformato in qualcosa di diverso con la sua verve, con la sua velocità spropositata, con la sua capacità di sgusciare passando attraverso i corpi degli avversari.
Poi c’è stata l’azione che ha determinato il 3-1 di Anguissa, un altro esempio molto virtuoso – e anche molto gradevole dal punto di vista estetico – di calcio verticale: palla diretta nello spazio tra il centrocampo e la difesa dell’Udinese, velo di Di Lorenzo (!), tocco volante di Simeone sull’inserimento di Anguissa. Tutto in pochi tocchi:
Prova a prendermi/2
Conclusioni (ovvero i margini del Napoli)
Nelle tre azioni che hanno determinato il risultato di Udinese-Napoli, lo abbiamo già detto all’inizio, si percepisce come e dove può lavorare Conte per continuare a far evolvere la sua squadra. La prima evidenza è che un certo tipo di possesso – avvolgente, stordente, intensivo – necessita di intensità per poter essere davvero pericoloso. La palla deve girare velocemente, perché i giocatori avversari possano perdere riferimenti, muoversi in maniera non sincronizzata, concedere spazi per imbucate verso la porta e/o per grandi azioni personali.
Gli altri due punti riguardano David Neres e una maggiore propensione alla verticalità. A Udine, l’esterno brasiliano ha dimostrato di poter fare la differenza ogni volta che tocca la palla. Di saper velocizzare – almeno potenzialmente – ogni azione che passa attraverso di lui. Insomma, è un giocatore rapidissimo e creativo, è una scarica elettrica che permette al Napoli di essere/diventare più imprevedibile. E quindi Conte ha il dovere, o comunque la necessità – di integrarlo maggiormente nel gioco della sua squadra, non può considerarlo (più) un semplice super-sub, l’alternativa a Kvara e non a Politano. Va bene, gli equilibri tattici in senso difensivo sono sacri, se il Napoli è in corsa per lo scudetto è perché subisce pochissimi gol, quasi tutti casuali. Ma se parliamo di margini di crescita, di ambizione e ambizioni in chiave offensiva, un maggior sfruttamento delle qualità di Neres deve essere un obiettivo non negoziabile.
Stesso discorso per quanto riguarda il gioco verticale: con Lukaku, grazie a Lukaku, si tratta di un’arma che il Napoli deve necessariamente sfoderare e utilizzare di più. Lo abbiamo detto, è una questione di varietà e – anche in questo caso – di imprevedibilità. Che va anche oltre Lukaku, a pensarci bene: in fondo il gol di Anguissa è arrivato quando il centravanti belga era già fuori, quando in campo c’era Simeone. Eppure anche in quel caso sono bastati un passaggio diretto, un velo e una sponda per entrare in porta col pallone. È un dato su cui Conte deve riflettere. Su cui magari ha già riflettuto.