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Velasco: «I calciatori sono vittime di un mondo che li rende degli dei»

A Libero: «Era difficile essere Maradona. L’argentina lo adora. Come Napoli. Il resto del mondo non lo so mica. Non ho mai capito perché in Italia non c’è la cultura della sconfitta»

Velasco: «I calciatori sono vittime di un mondo che li rende degli dei»
Parigi (Francia) 11/08/2024 - Olimpiadi Parigi 2024 / volley / Italia-Usa / foto Image Sport nella foto: Julio Velasco

Julio Velasco, ct della nazionale femminile di pallavolo, ha rilasciato un’intervista a Libero. Dopo l’oro all’Olimpiade di Parigi, guarda solo a Los Angeles 2028.

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Velasco: «Non ho mai capito perché in Italia non c’è la cultura della sconfitta»

Come nacquero quegli “occhi della tigre” che si inventò 40 anni fa per caricare i suoi giocatori?
«Dal film Rocky. Fu un modo per sottolineare l’aggressività che si deve avere in campo. Oggi basta, non uso più quello stereotipo. Soprattutto con le azzurre».

Quanta italianità c’è in lei?
«Premessa: papà era peruviano, mamma italo-argentina ma con sangue inglese. Le rispondo così: l’argentino è un italiano che parla spagnolo, pensa in francese e vorrebbe essere inglese».

Quindi, si sente più argentino o italiano?
«Gli argentini e gli americani in genere sono sognatori come i giovani, gli europei hanno la saggezza ma anche il pessimismo degli anziani».

Lei è diventato Velasco a Modena: quattro scudetti di fila. Cosa accadde?
«Avevo grandi giocatori. E la stessa filosofia oggi: se si vuol continuare a vincere ci si deve comportare come se avessimo perso, dicevo».

Perché in Italia non c’è la cultura della sconfitta?
«Non l’ho mai capito. Atlanta ’96 è stata vista come una sconfitta. Invece era un argento che aveva valore».

Ha rigenerato Paola Egonu e l’ha reinserita in azzurro. Una genialità alla Velasco?
«Paola non se ne era mai andata dalla nazionale, con la precedente gestione era semplicemente finito un ciclo come capita nello sport: lei ama la nazionale, è stata perfetta ai Giochi».

C’è stato anche il calcio nella sua vita, come dirigente di Lazio e Inter.
«Da ragazzino lo giocavo, in Argentina e ho fatto quelle due esperienze da dirigente che mi hanno comunque arricchito. I calciatori sono vittime di un mondo che li rende degli dei e, magari, loro vorrebbero soltanto giocare come ragazzini, liberi in un prato verde».

Ancora Argentina: Maradona o Messi, così uguali e così diversi?
«Era difficile essere Maradona, uomo con difetti e quindi simile a molta gente comune. Mi sono sempre sentito molto vicino a lui».

L’argentina lo amava?
«Tuttora lo adora. Come Napoli. Il resto del mondo non lo so mica».

Senza il volley cosa avrebbe fatto nella vita Julio Velasco?
«L’insegnante, ma a scuola. Non in una palestra».

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