L’ex pallavolista al Foglio sulla retorica che avvolge lo sport: «Io ho cominciato perché ero a disagio con la mia altezza. Ma a livello professionistico è un’altra cosa»
Sul Foglio Sportivo una bella intervista di Giovanni Battistuzzi ad Andrea Zorzi alfiere della grande Italia di pallavolo.
Zorzi racconta di aver incontrato la pallavolo per caso, perché era a disagio con la sua altezza.
Andrea Zorzi la pallavolo l’aveva incontrata a sedici anni, “per caso”. L’aveva scelta certo, ma non per passione, per necessità. “Ero molto alto, troppo alto per i miei gusti. Mi sentivo a disagio con la mia altezza. Il prof di educazione fisica del liceo Classico che frequentavo mi disse che avrei potuto fare sport anche se ero così alto. C’era il basket, c’era la pallavolo, c’erano anche altri sport che poteva fare una persona alta. Mi disse di muovermi, di decidere. Scelsi la pallavolo perché la palestra era più vicina a casa mia rispetto a quella del basket. Iniziò tutto così, per vicinanza”.
Zorzi parla dello sport che è sì inclusivo ma al tempo stesso è selettivo.
Lo sport, dice Andrea Zorzi, “lo sport in generale, l’insieme di tutte le discipline insomma, è ciò che di più inclusivo possa esistere. Non conta la differenza di provenienza, di stato sociale, sono irrilevanti le differenze religiose, culturali, fisiche. Ci sono discipline sportive per gente alta e per gente bassa, per gente veloce e per gente resistente, per gente muscolosa e per gente secca. Qualsiasi sia la tua altezza o peso, le tue caratteristiche fisiche, puoi trovare uno sport nel quale ti puoi sentire accettato e puoi provare a dare il meglio”. È un’occasione, per tutti. “Nello sport però esiste anche una dimensione competitiva che non può e non deve essere messa in secondo piano. Se lo sport è inclusivo, le varie discipline non lo possono essere fino in fondo, non possono che essere selettive”, spiega Andrea Zorzi. “Per garantire l’equità della competizione, occorre selezionare i partecipanti. Ed è questo il punto sul quale ci dobbiamo interrogare: ci può essere qualcosa al tempo stesso inclusivo e selettivo? Sì e no. Sì, se lo sport lo si considera un gioco e un gioco soltanto. No, se si considera la sua componente agonistica. Una squadra che gioca ad altissimo livello non ha scelta, non può che essere selettiva, non può che selezionare i migliori atleti. E tutto ciò è legittimo, è obbligata alla scelta, alla selezione”.
Prosegue Zorzi:
«Io credo che lo sport non debba tradire la sua natura competitiva, non credo debba cambiare le sue regole, soprattutto la sua natura e missione, quella di stabilire un primo, un secondo, un terzo e via così. Cambiare questo vuol dire negare la competizione. E lo sport non può sfuggire da questo, deve incentivare una competizione onesta, nella quale si può vincere o perdere, ma con rispetto, consapevole del fatto che chi si affronta si batterà sì ad armi pari e con regole chiare, ma con caratteristiche diverse perché ad affrontarsi ci sono donne e uomini che hanno abilità diverse. E tutto questo, che poi altro non è che la bellezza dello sport, fa sì che lo sport, quello professionistico almeno, difficilmente può essere un efficace veicolo di un valore come l’inclusione».
Troppa retorica
C’è un po’ troppa retorica attorno allo sport. Ci sono troppi tentativi di renderlo altro da quello che è. A volte sembra che lo sport sia quasi uno sfogatoio, che su di esso coli tutto ciò che società e istituzioni vorrebbero fare, ma non riescono a realizzare.
«Credo che noi sportivi, con i vari ruoli che abbiamo, dovremmo essere sinceri con noi stessi e chiederci: “Quali sono i valori di cui siamo portatori?”. Io penso che essere portatori di un onesto, legittimo, trasparente modello di selettività non è cosa da poco, è una bella cosa. Dire che non si può fare tutto, che non siamo tutti uguali, e questo significa non che io valgo più di te, semplicemente che sono passato attraverso inevitabili criteri di selezione. Dovremmo noi per primi scansare la banalità di considerare lo sport come modello di vita in assoluto. Dovremmo evitare di continuare a dire che lo sport fa bene in ogni caso. Perché non è così. Dipende. Lo sport in alcuni casi è una meravigliosa occasione per aiutarci a stare bene e per aiutare a far stare bene gli altri. Qualche volta però può diventare motivo di discriminazione, di tensione, di preoccupazione, come tutti gli ambienti. È fatto di luci e di ombre. E non c’è niente di strano in tutto questo».