I suoi primi mesi al Napoli sono un miracolo di bravura. Invece la narrazione lo dipingeva come uno “vintage”, quasi all’ultima spiaggia
Chiedi chi è Antonio Conte. Chi è oggi, non ieri. Il passato è coniugazione che non lo riguarda. In questi tempi pigri (e scemi) basterebbe andare su Google e Wikipedia. Anzi, i più scafati vanno su ChatGpt. La cui intelligenza artificiale sentenzia che al momento i migliori allenatori in Europa sono Guardiola, Inzaghi, Xabi Alonso, Klopp e Simeone. No, Ancelotti no. E nemmeno Conte. (Sarà comunque un problema nostro, che non abbiamo ancora imparato la grammatica colloquiale che tira fuori il meglio dalla tecnologia generativa. Ma è già confortante che non ci abbia tirato in mezzo Thiago Motta o Vincenzo Italiano, non avremmo retto).
Al punto in cui è il Napoli oggi – il presente fa sempre più curriculum della cose sfumate – Antonio Conte andrebbe narrato come un miracoliere. Uno che in pochi mesi ha preso una squadra (e una società) sgarrupata e l’ha tirata su mattone dopo mattone, malta e cardarella, fino a farne un muro. A dispetto dei preconcetti più o meno palesati, del complicato contesto lavorativo, della perseveranza patologica nel considerare i “grandi” come “vecchi”.
Bastava chiedere chi fosse, Antonio Conte. A Google, a Wikipedia. Ma la risposta che molti ne avrebbero tratto – trafilando la carriera come si fa con la pasta per darne forma a piacimento – è che Conte era ormai scaduto. Uno bravissimo, certo. Ma che il Napoli avrebbe riesumato da chissà quale cantina, rimettendolo in gioco – noi a lui, e non viceversa – mentre la new wave dei vari Motta e Amorim dettava linea, riferimenti, altezza dell’asticella. Castronerie da social zoo.
Se Ancelotti arrivò a Napoli da bollito, con Conte c’eravamo quasi: sobolliva, ecco. Pippiava, come un ragù. Conte era considerato “vintage”. Magari buono per il Napoli in rovina, ma poco altro…
E invece – sembra lunare – ma arrivati a gennaio tocca dare a Conte quel che Conte s’era già preso senza aspettare che glielo dessimo noi. Potremmo star qui per altre 50 righe a magnificarne la bravura, ma sarebbe come chiedere ai brevetti di registrare l’acqua calda. Il punto è: come abbiamo fatto a non percepire lo scarto spaziale tra Conte e la classe dei nuovi “bravissimi”? A non goderci (Napoli è città notoriamente godereccia, no?) l’altissima manovalanza di questo tecnico, tanto efficiente quanto a volte insopportabile? A non riservargli domenica dopo domenica l’entusiasmo incrollabile che pur abbiamo sperperato in questi anni regalandolo a soggetti effervescenti e poco altro?
E’ come se avessimo smarrito il metro, la misura. Ogni volta che osanniamo un nuovo azzimatissimo “genio”, dovremmo fare prima la tara: quanto vale questo da zero a Conte?