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Anche Conte era nei dintorni del bollito. Lo scarto tra lui e i “geni” come Motta e Amorim è abissale

I suoi primi mesi al Napoli sono un miracolo di bravura. Invece la narrazione lo dipingeva come uno “vintage”, quasi all’ultima spiaggia

Anche Conte era nei dintorni del bollito. Lo scarto tra lui e i “geni” come Motta e Amorim è abissale
Db Milano 29/10/2024 - campionato di calcio serie A / Milan-Napoli / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Antonio Conte

Chiedi chi è Antonio Conte. Chi è oggi, non ieri. Il passato è coniugazione che non lo riguarda. In questi tempi pigri (e scemi) basterebbe andare su Google e Wikipedia. Anzi, i più scafati vanno su ChatGpt. La cui intelligenza artificiale sentenzia che al momento i migliori allenatori in Europa sono Guardiola, Inzaghi, Xabi Alonso, Klopp e Simeone. No, Ancelotti no. E nemmeno Conte. (Sarà comunque un problema nostro, che non abbiamo ancora imparato la grammatica colloquiale che tira fuori il meglio dalla tecnologia generativa. Ma è già confortante che non ci abbia tirato in mezzo Thiago Motta o Vincenzo Italiano, non avremmo retto).

Al punto in cui è il Napoli oggi – il presente fa sempre più curriculum della cose sfumate – Antonio Conte andrebbe narrato come un miracoliere. Uno che in pochi mesi ha preso una squadra (e una società) sgarrupata e l’ha tirata su mattone dopo mattone, malta e cardarella, fino a farne un muro. A dispetto dei preconcetti più o meno palesati, del complicato contesto lavorativo, della perseveranza patologica nel considerare i “grandi” come “vecchi”.

Bastava chiedere chi fosse, Antonio Conte. A Google, a Wikipedia. Ma la risposta che molti ne avrebbero tratto – trafilando la carriera come si fa con la pasta per darne forma a piacimento – è che Conte era ormai scaduto. Uno bravissimo, certo. Ma che il Napoli avrebbe riesumato da chissà quale cantina, rimettendolo in gioco – noi a lui, e non viceversa – mentre la new wave dei vari Motta e Amorim dettava linea, riferimenti, altezza dell’asticella. Castronerie da social zoo.

Se Ancelotti arrivò a Napoli da bollito, con Conte c’eravamo quasi: sobolliva, ecco. Pippiava, come un ragù. Conte era considerato “vintage”. Magari buono per il Napoli in rovina, ma poco altro…

E invece – sembra lunare – ma arrivati a gennaio tocca dare a Conte quel che Conte s’era già preso senza aspettare che glielo dessimo noi. Potremmo star qui per altre 50 righe a magnificarne la bravura, ma sarebbe come chiedere ai brevetti di registrare l’acqua calda. Il punto è: come abbiamo fatto a non percepire lo scarto spaziale tra Conte e la classe dei nuovi “bravissimi”? A non goderci (Napoli è città notoriamente godereccia, no?) l’altissima manovalanza di questo tecnico, tanto efficiente quanto a volte insopportabile? A non riservargli domenica dopo domenica l’entusiasmo incrollabile che pur abbiamo sperperato in questi anni regalandolo a soggetti effervescenti e poco altro?

E’ come se avessimo smarrito il metro, la misura. Ogni volta che osanniamo un nuovo azzimatissimo “genio”, dovremmo fare prima la tara: quanto vale questo da zero a Conte? 

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