Il post partita di Bergamo è stata una chiamata alle armi per il quarto scudetto, ora Napoli non mugugna più su Conte
Il post partita di Bergamo è stata una chiamata alle armi, ora Napoli non mugugna più su Conte
“Napoletani andiamo a conquistare il Molise”. Conte potrebbe chiederlo con la certezza di riuscire nell’impresa. Il Napolista sarebbe partito alla conquista già a luglio, invero a Napoli l’arrivo di Antonio Conte non scaldava: è juventino, lascia macerie, gioca con la difesa a 5, non ama il bel giuoco. Insomma la città ammorbata dal proprio insopportabile modo di essere. La maggioranza soltanto adesso riesce a capire il peso della leadership. Incredibile quello che Conte ha dovuto sopportare dal suo arrivo. Dalle conferenze stampa poco stimolanti, ai mugugni, nonostante il primo posto. Napoli in passato lo ha sempre detestato, diciamo anche odiato. Icona della juventinità più fiera. Infastidita dal il suo modo scomposto di esultare, per la sua corsa nevrastenica, per la sua invivibile determinazione. Per il suo essere ovunque nelle proteste, nei lamenti. Ma fondamentalmente si era invidiosi di ciò che gli altri avevano. Sì odia ciò che si invidia. Se non si ha la capacità per guardare oltre. I suoi gesti compiuti da questa parte della barricata sono diventati momenti iconici. Sin da quando ha rivendicato la propria storia, sottraendosi al Barnun di Dimaro. Conte da tecnico è andato oltre la sua storia. Per sopravvivere nel calcio consapevolmente ha abbracciato confessioni assolutamente antitetiche con la sua juventinità, senza mai rinnegarla. L’integrità non fa punti, ma fa gli uomini.
La partita di Bergamo è stata il manifesto di Conte e del contismo
Una leadership del genere Napoli l’ha vista soltanto una volta. I compagni di nazionale di Maradona avrebbero ucciso per lui, ed in Argentina il senso di devozione avrebbe potuto essere letterale. Conte da allenatore ha la stessa capacità edile di Maradona. Tutti intorno ad un unico leader. Senza che vi siano dubbi. La partita di Bergamo è stato il manifesto del contismo. Una squadra per fortuna ha lasciato dietro di sé zavorre caratteriali, e qualche mugugno, abbracciando completamente la confessione del comandante. Il risultato è che oggi Mazzocchi nel Napoli di Conte ha più senso di esistere, rispetto a chi ha vissuto una lenta dissolvenza della propria parabola napoletana. È un paradosso. Il paradosso di Antonio.
Il post partita di Bergamo è stato una chiamata alle armi, non per la conquista del Molise, ma per la conquista del quarto scudetto. Perché il Napoli corre per quello. Conte ha sempre e solo pensato al campionato. Mancano solo diciassette partite. Per qualche motivo questo gruppo non andrebbe toccato. Conte lo ha rivitalizzato. Ha lavorato sulla testa dei calciatori, più di nessuno in precedenza. Potrebbero essercene tanti di esempi, ma uno si staglia sugli altri: Juan Jesus. Possiamo dirlo: l’assenza di Buongiorno è stata meno traumatica di quanto ipotizzato. Si pensava alla fine di una cavalcata, che invece si è intensificata la velocità di crociera. Il brasiliano, fino all’infortunio, era stato additato come il responsabile della sconfitta di Verona. Uscito lui solo nove gol subiti, in più negli occhi erano rimaste le sue tragiche performance della stagione passata. Evidenti i meriti del tecnico, capace, al di là della vulgata, di cavare ettolitri di calcio da chi in apparenza non ne ha più. Sabato la nemesi. Nessuno gli chiederà di saltare. Tutti gli chiederanno di vincere. Lui per primo lo chiederà a se stesso.