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Inler: «A Napoli stavo più in casa a concentrarmi e riposarmi. Mazzarri è scatenato, tattica su tattica»

A Radio Serie A: «Benitez gli assomiglia, curava anche i dettagli dei passaggi. A Leicester ho visto il calcio da fuori e mi ha regalato il trofeo. Ho imparato anche a soffrire»

Inler: «A Napoli stavo più in casa a concentrarmi e riposarmi. Mazzarri è scatenato, tattica su tattica»
Db Milano 19/12/2024 - Coppa Italia / Inter-Udinese / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Gokan Inler

Il direttore tecnico dell’Udinese, Gokhan Inler, ha concesso una lunga intervista a Radio Serie A per ripercorrere la sua carriera. In particolare, Inler ricorda con molto piacere le esperienze vissute a Napoli e a Leicester.

Inler: «Benitez curava anche i dettagli dei passaggi»

«Napoli è una piazza caldissima, vivono per il calcio. Ogni partita è da vincere. Ti puoi preparare fisicamente, ma la cosa più importante è il punto di vista mentale, ogni partita la devi vincere. Stavo più in casa a concentrarmi e riposarmi, giocavamo ogni tre giorni con la Champions. Mi preparavo bene».

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Inler su Mazzarri e Benitez:
«Ho ancora rapporti con loro. Mazzarri è scatenato, tattica su tattica. Vedevamo due sistemi per una partita, è stata una bella esperienza, curava tutto anche i dettagli. Era sempre lì per aiutarci, nel mio caso mi ha aiutato tanto a inserirmi nella squadra, è stato un grande allenatore per me. Benitez gli assomiglia, cura tanto le statistiche, i numeri. È programmato come uno svizzero. Anche con lui è stata una bellissima esperienza, curava anche i dettagli dei passaggi. Un calciatore magari sa passare la palla, ma non pensa a questi dettagli, ci dava indicazioni di passarci meglio la palla, anche se un giocatore magari aveva già fatto la sua carriera. È stato un allenatore molto interessante per me».

Sul Leicester:
«Una storia bellissima, nessuno conosceva il Leicester nel mondo, ma con Ranieri volevamo affrontare questo campionato. Anche Ranieri è un altro maestro, mi ha chiamato per convincermi ad andare lì. Sono andato pur sapendo che non sarei stato titolare, che sarei stato un leader per aiutarli a crescere, ho conosciuto il calcio in un’altra maniera, non giocando, o comunque giocando poco. È stata dura, ero capitano della Nazionale, rischiavo di perdere tutto, ma non ho mollato, non ho voluto cambiare. Non ho guadagnato il posto perché non abbiamo perso mai, me lo diceva il mister che era difficile cambiare con la squadra che andava così bene.

L’ho accettato anche perché i ragazzi nel mio ruolo non hanno mai mollato. Ma non ho mollato neanche io, ogni giorno mettevo il massimo anche per loro, per fare gruppo. Ero più grande dei miei compagni, quando mi vedevano allenare a quei livelli loro non potevano mollare. È stata una cosa per loro positiva. Il gruppo ha vinto. Alla fine ho perso la Nazionale, ma vedere il calcio da fuori mi ha regalato il trofeo e l’ho accettato volentieri. Ho imparato anche a soffrire».

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