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La Repubblica di Elkann scrive che quelli come Thiago Motta la Juve li accompagna alla porta

Crosetti lo descrive perfettamente: sembra il ragazzino ginnasiale di fronte alla prima versione di greco. Una montagna di fischi allo Stadium

La Repubblica di Elkann scrive che quelli come Thiago Motta la Juve li accompagna alla porta
Db Torino 29/01/2025 - Champions League / Juventus-Benfica / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Thiago Motta

La Repubblica di Elkann scrive che quelli come Thiago Motta la Juve li accompagna alla porta

Piano piano, ci stanno arrivando tutti. Dopo mesi in cui il cazzatometro (rilevatore di cazzate) ha più volte superato il precedente record mondiale, ci stanno arrivando tutti su Thiago Motta e la gestione del sempre poco citato Giuntoli. Stanno portando la Juventus al disastro. Ieri la sconfitta in Champions contro il Benfica, pochi giorni dopo quella di Napoli. Due sconfitte nettissime.

Scrive Repubblica con Maurizio Crosetti:

il futuro è capire cosa farne di questa Juve sconcertante e smarrita. L’allenatore la osserva a lungo con le mani in tasca, sembra il ragazzino ginnasiale di fronte alla prima versione di greco: apre il vocabolario e non si orienta. Thiago Motta improvvisa le soluzioni che non possiede: la sua squadra, imbattuta fino a sabato almeno in campionato, ha perso male due volte in quattro giorni. Prima, aveva perso due volte in cinque mesi. Il pubblico fischia a valanga con la ferocia che nasce dalla delusione, dal troppo tempo passato a immaginare che la nuova Juve fosse meglio di quella vecchia, e che il progetto potesse ridare volto, dimensione e sicurezza a un gruppo di anime vaganti. Invece niente.

E adesso? È vero che esonerare l’allenatore in corsa non è abitudine sabauda, però da queste parti hanno perso la panchina uomini reduci da freschissimo scudetto, ovvero Sarri e Allegri, e ad altri come Pirlo non è stato permesso di perseverare. C’erano altri dirigenti ed era un altro club, d’accordo, ma la ragione esistenziale più che sociale della Juventus non può cambiare: qui si deve vincere, o almeno andare sempre in campo per farlo. Quelli che non ci riescono, pur se eleganti nel gesto o nel verbo, di solito li accompagnano alla porta. 

La Juventus di Maifredi andava meglio di quella di Thiago Motta: era quarta, a 4 punti dal primo posto (il Napolista)

Dieci vittorie, otto pareggi e quattro sconfitte. Che nel campionato 90-91 facevano 28 punti in classifica e oggi sarebbero 38. È lo score della famigerata Juventus di Gigione Maifredi l’allenatore che più di ogni altro incarna il fallimento del tentativo di cambiare il Dna della Vecchia Signora. Si era in pieno sacchismo. La Juve cacciò Zoff che pure aveva vinto Coppa Italia e Coppa Uefa. Ma c’era la rivoluzione del futbol che premeva, il calcio totale dell’uomo di Fusignano e a Torino non resistettero. Arrivò Luca Cordero di Montezemolo che portò Maifredi l’uomo che praticava il calcio champagne a Bologna.

Se ci fossero stati i tre punti, la Juve di Maifredi ne avrebbe avuti 38. Cioè uno in più di quella di Thiago Motta. Ma il dato succulento è un altro.  Quella squadra tanto bistrattata, alla 22 esima giornata era quarta in classifica. La Sampdoria (che poi vinse lo scudetto) era prima con 32 punti. Davanti all’Inter che ne aveva 31 e al Milan fermo a 30. Quarta appunto la Juventus a 28. Ossia a due vittorie dalla Sampdoria. Come se oggi la Juventus di Thiago Motta fosse a quota 47 (il Napoli è a 53). Invece la squadra del progetto di Giuntoli (che, ricordiamo, dopo aver cacciato Ancelotti per Gattuso, ha fatto fuori anche Allegri) è a sedici punti dal Napoli. Sedici punti equivalgono a cinque vittorie e un pareggio. Nell’epoca dei due punti, sarebbero undici lunghezze. E invece erano appena quattro.

Ma allora perché quella Juve è considerata da sempre un termine di paragone negativo mentre questa è continuamente accompagnata da critiche all’acqua di rose? Un po’ perché il giornalismo più che cambiato, si è snaturato. Il buonismo di oggi (per non dire altro) allora non esisteva nemmeno nelle barzellette. E un po’ perché è cambiato lo status della Juventus. All’epoca il quarto posto era considerato un’onta. Oggi il sesto sembra che non smuova nessuno, se non i poveri tifosi che stanno assistendo sbigottiti a questa che potremmo definire eutanasia della juventinitudine. “Pareggiare è l’unica cosa che conta”, se va bene.

Aggiungiamo che quella Juventus (che poi crollò nel finale di campionato e arrivò settima (ricordiamo che oggi la Juve è sesta), arrivò in semifinale di Coppa delle Coppe. Venne eliminata dal Barcellona e ciononostante ancora oggi la gara di ritorno (vinta 1-0 con punizione di Baggio, all’andata finì 3-1) è ricordata come un match emozionante, certamente uno dei più belli di quella stagione.

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