Le 18 partite in simultanea piacciono alla generazione meme e a quella “tuttoilcalciominutoperminuto”. I broadcaster rivendono il passato come “una cosa mai vista”
Eravamo lì per lo stesso motivo, a guardare la stesso schermo. Ma a due velocità, con ottiche contrapposte: vetero-nostalgia per i bei tempi che furono e smania per la fast-qualsiasi cosa. Il 29 gennaio del 2025 sui divani di mezza Europa si sono allineate due dimensioni: i giovani e i vecchi, la generazione highlights&meme e quella tuttoilcalciominutoperminuto. L’ultima giornata del girone Champions, con 18 partite tutte assieme e un’abbuffata di gol in montaggio live sincopato, ha distorto la curva della storia, l’ha piegata fino a farne un cerchio chiuso.
Quelli che hanno distrutto la bellezza della contemporaneità l’hanno infine ricomposta, contrabbandandola come inedita: “una roba mai vista” è stato il claim di Sky per tutta l’anteprima. Il ritmo frenetico, quasi ossessivo, di interruzioni. I gol uno sull’altro, ad inseguimento, il dramma della qualificazione che un attimo c’è e un secondo dopo è scappata via. Quel classificone a tre fasce, in aggiornamento costante, quasi magico, manovrato dalla differenza reti che andava accumulandosi su troppi campi per tenerne il passo. Abbiamo chiesto a ChatGpt, la risposta è stata “goditi lo show e lasciami in pace, stasera esco con Gemini”. L’Intelligenza artificiale ridotta a badante di noi poveri cretini.
Qualcuno di noialtri abitanti del pleistocene, nell’impossibilità d’appisolarsi come al solito, ha evocato uno “scusa Ameri!” che invece non è mai arrivato. Ma la sostanza era quella. Ci hanno messo anni a ricomporla, un po’ a casaccio: era bello lo spezzatino, ma è più bella la grande ammucchiata. Il punto è la mancanza di consapevolezza dei broadcaster (e a cascata di chi il prodotto lo vende, senza sapere come valorizzarlo), o lo smarrimento successivo: non si torna indietro, le partite vanno spalmate per sfruttarne anche l’ultima frattaglia; però poi guarda che show l’orgia finale. Hanno fatto tutto il giro, e continuano a girare. E’ la vecchia storia del cane che si morde la coda.
Nella prima Coppa dei Campioni di sempre, quasi 70 anni fa, il Real Madrid vinse la competizione dopo aver giocato sette partite in nove mesi. Quest’anno giocherà 10 partite in cinque mesi solo per uscire indenne (chissà) dal primo turno. Il mantra ormai liso è più partite, più soldi, più clamore generale. Ed effettivamente il nuovo formato ha il merito di aver scosso la palude in cui si erano trasformati i vecchi gironi. La confusione, ad un certo punto – ma solo alla fine – s’è rivelata trascinante. Ma la montagna di 144 partite giocate finora ha prodotto un topolino di 12 squadre (su 36) eliminate.
Se i vecchi gruppi da quattro squadre, con la loro tendenza ad esaurirsi al quinto o al sesto match, sembravano un po’ stanchi – scrive il Telegraph – la grande attrazione di questo finale di girone era il destino del Manchester City. L’idea di perdere il gigante di Guardiola è stato un traino goloso, un regalo inaspettato di questa rivoluzione, meravigliosamente spendibile in tv. Ovviamente poi il City s’è salvato.
Ma poi vai a vedere e delle prime 18 teste di serie del primo sorteggio solo due sono fuori: Lipsia e Shakhtar Donetsk. Il Brest, la testa di serie più bassa delle 36, è arrivato 18esimo e si è qualificato per i play-off. Il Telegraph fa notare che col vecchio sistema “con la sua media di punti a partita ne avrebbe accumulati abbastanza (10) per qualificarsi automaticamente agli ottavi di finale in cinque degli otto gironi”. Ma sono proiezioni con poco valore.
Il calcio e i suoi “esecutori” materiali (Uefa, club, tv) si sono goduti una notte di sesso pirotecnico. Al risveglio, stamane, si son detti malinconicamente che “è stato bello”. Allora magari, ci rivediamo. Ti chiamo io, ok?