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L’ex capo ultrà dell’Inter Beretta: «La morte di Belardinelli è stata la scusa per comandare la Curva Nord»

Racconta anche gli scontri un cui morì Belardinelli: «Vedo uno a terra (Belardinelli) che urla come un pazzo, come un animale scannato, gli usciva sangue dalle orecchie, era maciullato»

L’ex capo ultrà dell’Inter Beretta: «La morte di Belardinelli è stata la scusa per comandare la Curva Nord»
Db 25/09/2018 - campionato di calcio serie A / Inter-Fiorentina / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: tifosi Inter curva Nord ultras

L’ex capo ultrà dell’Inter, Andrea Beretta, continua la sua collaborazione con gli inquirenti. Si trova in carcere con l’accusa di associazione a delinquere aggravata dal metodo mafioso e indagato per l’omicidio dello stesso Antonio Bellocco, figlio prediletto della ’ndrangheta di Rosarno. Una sorta di macabra serie tv che racconta la storia a ritroso. Questa volta, a diffondere le dichiarazioni di Beretta è il Fatto Quotidiano.

Beretta racconta della serata di Santo Stefano del 2018 l’inizio di tutto. In quella sera nasce il comitato della Nord che da il via al patto ultras-mafia in seguito alla morte di Daniele Belardinelli, ucciso da un’auto che tentava di fuggire dagli scontri fra interisti e ultras del Napoli.

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Beretta: ««Vedo uno a terra (Belardinelli) che urla come un pazzo, era maciullato»

L’ex capo ultrà dell’Inter racconta che tutto nasce con la governance di Vittorio Boiocchi e poi, in seguito al suo omicidio, passata al trio Beretta-Bellocco-Ferdico. «La morte di Dede (Belardinelli, ndr) è stata la scusa per cui dopo noi siamo entrati a comandare la Curva Nord».

«In Coppa Italia – spiega ai pm Beretta ricordando la situazione che si era creata prima degli scontri del 26 dicembre 2018 – c’erano stati degli scontri, avevano divelto una porta, ci avevano fatto un agguato nel settore ospiti, solo che le avevano buscate (…). E si parlava di questa partita come uno scontro finale di Santo Stefano».

Ed ecco lo svolgersi dei fatti di quella serata che vide la morte di Belardinelli: «Mi chiama Dany Torcia, che è uno del gruppo dei Boys. Dice: “Guarda che stanno qui al Cartoons, vieni qua”. Mi presento là e vedo che ci sono 150-200 persone nostre con i gemellati, c’erano i ragazzi del Nizza e di Varese. Vedo un clima di rilassatezza, non come prima di una una guerra, no? Gente che beveva, che fumava».

Ma a cambiare tutto è proprio l’arrivo di Beretta: «Quando arrivo alcuni dicono: ma allora si va veramente allo scontro. Quando il Rosso (Marco Piovella ex referente dei Boys, ndr) mi vede dice: c***o, ma questo». La scena quindi si sposta nel parchetto di via Fratelli Zoia. Il gruppo è armato di bastoni, machete, spranghe, bombe carta: «Da una situazione di leggerezza (…) ci troviamo in questo parchetto. Uno dei nostri al passaggio dei napoletani avrebbe lanciato una bomba carta e sarebbe stato l’avviso di uscire (…). Siamo in tensione, dico a Nino (Ciccarelli, ndr) e Dede: mi raccomando, cerca di calmarli».

Ma alle 19.30 iniziano gli scontri e circa tre minuti dopo Belardinelli viene investito a morte. «Metto il mefisto e i guanti (rinforzati, ndr). Usciamo dalla vietta io, Nino e Dede. Ci dirigiamo verso destra mentre il grosso del gruppo va a sinistra. Nella corsa perdo l’accensione della torcia, vedo che Dede mi passa, riprendo la torcia e la punto contro il furgone (di ultras napoletani, ndr). Poi sento una botta». E Belardinelli viene investito.

«Quelli del furgone hanno aperto il portellone, questo è sceso con un asse, ha cercato di colpirmi, gliene ho mollata una e questo è svenuto – prosegue Beretta –. Ho preso un bastone con le due mani l’ho spaccato nel parabrezza. C***o, mi giro, dietro vedo uno a terra che urlava come un pazzo, come un animale scannato». Si tratta di Belardinelli. «Gli prendo la faccia e vedo che gli esce sangue dalle orecchie, era maciullato. Comincio a correre, volava di tutto, martelli, sassi, un bordello. Comincio a sbracciarmi e a far capire, indietreggiate».

Gli scontri terminano, ma Belardinelli ha bisogno di cure immediate: «L’abbiamo alzato e siamo tornati nella via, abbiamo fatto arrivare una macchina, una Polo, io ho staccato il deflettore, l’abbiamo caricato e la macchina è partita. E io ancora con ’sto Mefisto».

Belardinelli muore in ospedale quella stessa sera ed ecco la possibilità di cambiare la governance della Curva.

«Ma adesso mi vuoi dare un ruolo di rilievo, visto che mi sono messo in mezzo in tutte queste situazioni qua? Mi fai gestire il gruppo dei Boys?», chiede Beretta, come raccolto dagli inquirenti. Ma la Risposta è negativa. Al comando dei Boys c’è Mirko Piovella, ma ancora per poco, viene arrestato proprio per gli scontri di Santo Stefano.

«Vittorio (Boiocchi, ndr) – racconta Beretta – era allo stadio». Beretta lo incontra, come richiesto dallo stesso Boiocchi: «È un casino, come c***o è successo che tutti i responsabili dei gruppi non c’erano? Erano tutti al baretto, voi eravate allo sbaraglio, poteva essere una strage». «Allora – racconta Beretta – ho capito che (Boiocchi, ndr) voleva prendere il controllo, però aveva bisogno di una scusa ed entro in gioco io, io avevo fatto l’azione, allora gli serviva il veicolo per prendere il potere».

Al che Boiocchi, per quanto racconta Beretta, propone: «Guarda, prendiamo in mano questa situazione io e te, tu fai il frontman e io sto dietro in caso di problemi (…). Faremo una riunione con tutti i capigruppo, li sollevo dall’incarico e prenderemo in mano la situazione noi».

Ed è quello che accade: «Tutti erano in cerchio davanti al Baretto, lui espone la problematica e li solleva tutti dall’incarico, non dice una parola a nessuno, qua stai parlando proprio della malavita, capito? Hanno abdicato e noi abbiamo preso in mano la situazione», finisce di raccontare Beretta.

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