Ma il Napoli non è più di pancia che di testa. Nella ripresa decisivo l’avanzamento di Di Lorenzo come mezzala aggiunta. Lukaku pivot sopraffino
Onda d’urto azzurra
La definizione di onda d’urto, in astronomia e/o in fluidodinamica, è una faccenda difficile da comprendere per chi non mastica certe materie. Nel calcio, però, il Napoli di Antonio Conte ne dà una rappresentazione precisa ed esauriente. La partita contro la Juventus, come tante altre nel corso della stagione, è stata indirizzata e poi si è risolta grazie a un periodo di gioco in cui la squadra azzurra è stata letteralmente incontenibile. E la tattica pura, come vedremo, c’entra fino a un certo punto: la Juventus del primo tempo, infatti, aveva trovato la disposizione e i meccanismi per inaridire il gioco del Napoli. Poi, però, non ha saputo resistere all’onda d’urto azzurra che le si è abbattuta addosso nella ripresa. La sensazione è stata quella che si prova quando si vedono i video dei caterpillar che travolgono vecchie case diroccate.
Il bello – o il brutto, a seconda dei punti di vista – è che il Napoli ha trasmesso questa sensazione di forza in una partita affrontata senza Buongiorno, Kvaratskhelia e Olivera. Pensare una cosa del genere solo qualche mese fa sarebbe stato impossibile, eppure è andata proprio in questo modo. Perché Antonio Conte, lavorando di precisione ma senza interruzioni, ha costruito una squadra che ha la forza – fisica, tecnica, tattica, naturalmente anche mentale ed emotiva – per mandare al tappeto la maggior parte degli avversari. Per stordirli con segmenti di partita giocati ad altissima intensità.
Ma è anche una questione di letture, cioè di decodificazione dei momenti e di intuizioni che cambiano le cose. Contro la Juventus, tra poco ne parleremo, il Napoli ha iniziato senza grande foga e si è fatto imbrigliare nella ragnatela preparata da Thiago Motta. Poi però ha reagito, con la testa – cioè con delle mosse strategiche che hanno avuto un grosso impatto – e con tutto il resto.
Uno schermo davanti a Lobotka
La gara è iniziata senza grandi sorprese di formazione, per il Napoli di Conte: il forfait di Olivera ha portato Spinazzola nell’undici titolare, per il resto tutto confermato rispetto alla gara di Bergamo. Per quanto riguarda la Juve, invece, Thiago Motta ha fatto alcune scelte inattese. Diciamo anche sorprendenti. Intanto ha inserito immediatamente Kolo Muani al posto di Vlahovic. E poi ha schierato Yildiz e Nico González dietro l’attaccante francese, con Conceição e Mbangula in panchina, McKennie terzino destro e Locatelli, Thuram e Koopmeiners a centrocampo, con l’ex Atalanta libero di muoversi come trequartista/sottopunta. Ne è venuto fuori un 4-2-3-1 piuttosto fluido, senza posizioni fisse, che in fase passiva si deformava in un 4-3-3 dal blocco medio alto.
I tre attaccanti della Juventus che pressano i difensori del Napoli e schermano Lobotka
L’idea di Thiago Motta, percettibile fin dai primi istanti di gara, era quella di creare uno schermo tra la difesa e il centrocampo del Napoli, quindi davanti a Lobotka. Un pressing intenso e armonico avrebbe dovuto sporcare la costruzione bassa della squadra di Conte, con un duplice obiettivo: recuperare palla in zona alta di campo, naturalmente, ma anche impedire agli azzurri di ricercare la verticalità con passaggi taglia-linee. È andata esattamente in questo modo, lo dicono i numeri: i bianconeri hanno chiuso la prima frazione con il 60% di possesso palla, hanno limitato i lanci lunghi ai giocatori di movimento in maglia azzurra (solo 12), hanno sostanzialmente escluso Lobotka (27 palloni giocati) e Lukaku (9 palloni giocati) dal vivo del gioco. E, soprattutto, hanno concesso appena 4 tiri al Napoli.
Anche Conte, però, ha fatto alcune scelte ambiziose ed efficaci. Soprattutto in chiave difensiva. Il Napoli, infatti, ha adottato un sistema di marcature uomo su uomo piuttosto rigido e aggressivo. Che spesso, non a caso viene da dire, ha portato uno dei due centrali – soprattutto Juan Jesus – a rompere la linea e a sopravanzare il centrocampo, pur di non perdere contatto fisico con gli avversari.
Le marcature a uomo del Napoli. E Juan Jesus (il giocatore nel cerchio bianco in entrambi i frame) che rompe la linea
L’idea di Conte era quella di rendere più difficili le sofisticate uscite dal basso di Thiago Motta. E ha funzionato: la Juventus come detto ha tenuto tanto il pallone, ma ha costruito solo due azioni pericolose. Azione numero uno: quella che ha portato al tiro ravvicinato di Yildiz e alla meravigliosa parata di Meret, arrivata dopo un recupero palla in zona avanzata. Azione numero due: quella del gol di Kolo Muani, arrivata dopo una buona percussione sulla destra, un maldestro rinvio di Lobotka e uno sfortunato assist involontario di Anguissa. Per il resto, la squadra bianconera ha messo insieme 3 conclusioni tentate verso la porta di Meret. Tutte velleitarie e comunque scoccate da fuori area.
Insomma, il primo tempo di Napoli-Juventus è stato equilibrato. Sia dal punto di vista tattico che nell’andamento del gioco. La squadra di Thiago Motta ha dato la sensazione di controllare di più il flusso attraverso il possesso, e il gol del vantaggio ha acuito questa percezione. Il Napoli di Conte è parso quadrato in fase difensiva ma piuttosto monotono in fase di costruzione e di rifinitura. Anche perché ha accelerato poco, sia dal punto di vista puramente fisico – David Neres è sembrato meno guizzante del solito, Lukaku è stato contenuto bene da Gatti – che dal punto di vista tecnico-tattico. Ecco, nel secondo tempo tutto questo è cambiato come cambia il cielo tra il giorno e la notte. Come se allo stadio Maradona fosse iniziata un’altra partita.
Giovanni Di Lorenzo e André-Frank Zambo Anguissa
Da quando è arrivato a Napoli, Antonio Conte ha riscoperto quanto possa essere bello – nel senso di produttivo, ma anche divertente – sperimentare in chiave tattica. Nel secondo tempo di Napoli-Juventus, per dire, ha rimesso mano alla sua squadra in modo minimale ma impattante. Come? Ripescando dal cilindro l’utilizzo di Giovanni Di Lorenzo come mezzala aggiunta. Anzi, per la precisione come centrocampista di supporto per una prima costruzione più fluida e più varia.
Nel frame in alto, un momento in cui Di Lorenzo ha occupato la posizione di mezzala. Nel primo campetto ci sono tutti i palloni giocati da Di Lorenzo nel primo tempo, nel secondo ci sono quelli giocati nella ripresa (in queste immagini il Napoli attacca sempre da sinistra a destra).
Questa mossa ha mandato in tilt la strategia difensiva di Thiago Motta. E ha determinato altre due conseguenze di un certo peso. Intanto ha (ri)messo Lobotka al centro del villaggio, e infatti il regista slovacco ha chiuso il secondo tempo con 37 palloni giocati, più di qualsiasi altro giocatore sceso in campo ieri. Inoltre, i movimenti di Di Lorenzo hanno di fatto “liberato” Anguissa, che nel secondo tempo ha agito molto di più come incursore/guastatore offensivo rispetto alla prima frazione di gioco. Anche in questo caso, come con Di Lorenzo, è bene fare un confronto statistico:
Guardate come aumentano i palloni giocati da Anguissa sulla trequarti tra primo (campetto in alto) e secondo tempo (campetto sopra)
È chiaro: tutte queste dinamiche e certi meccanismi riescono a essere efficaci, cioè a cambiare il corso degli eventi, nel momento in cui si traducono sul campo in un certo modo. E cioè quando la squadra che deve concretizzarli nella realtà lo fa mettendoci una certa intensità, una certa qualità. Per capire cosa intendiamo, bisogna riguardare l’intera azione che ha portato il Napoli al pareggio.
Un gol costruito con tanta forza di volontà, ma anche con qualità
Siamo al minuto 57, ma è dall’inizio della ripresa che la squadra di Conte spinge sull’acceleratore. La Juve gioca nel modo giusto una rimessa dal fondo a lunga gittata, quasi si crea un’occasione buona se non fosse che Spinazzola fa buona guardia e risputa fuori il pallone. La squadra di Motta allora si mette (giustamente) a palleggiare, ma Anguissa – soprattutto lui – e compagni alzano il ritmo del pressing, assalgono letteralmente i giocatori bianconeri fin dentro la loro metà campo.
Il recupero del pallone innesca una transizione con quattro attaccanti più Anguissa a supporto, pochi istanti dopo arriva anche Giovanni Di Lorenzo. Lukaku gioca benissimo da pivot, Politano è lesto a leggere lo spazio migliore in cui incunearsi e (soprattutto) non perde tempi di gioco per il dribbling o il rientro sul piede forte. Cross a centro area, dove ci sono Anguissa e McTominay, entrambi. Gatti è fuori tempo, McKennie non ha speranze di vincere il duello. Palla in rete.
Romelu Lukaku
Un’azione praticamente identica, per accorgersene basta riguardarla meglio, determina il rigore che porta avanti il Napoli. Certo, la dinamica iniziale è abbastanza differente: la Juventus non è in possesso palla e si difende schiacciandosi dentro le sue metà campo, con undici giocatori sotto la linea della palla, ma le distanze dei bianconeri sono comunque larghe, e questo naturalmente favorisce la circolazione di palla degli uomini di Conte. Che però tessono un’altra manovra arrembante e veloce, con Di Lorenzo in posizione di mezzala (guardare sopra) più che di terzino e con Lukaku nel ruolo di pivot. Ancora.
La chicca di questa azione è la rotazione perfetta tra Di Lorenzo e Anguissa
Il resto viene di conseguenza: stavolta non è Anguissa ma è McTominay ad aggredire l’area, lo spazio lasciato libero da Lukaku che viene a ricevere palla nel mezzo spazio di centro-sinistra. Il gioco del centravanti belga non è solo da pivot, ma da pivot raffinatissimo: Lukaku non sente più la presenza di Gatti, che l’ha lasciato inspiegabilmente libero, allora può girarsi e alzare la testa dopo il bel tocco di prima di Politano; il passaggio successivo verso McTominay è preciso ma anche veloce, quindi imprendibile anche se leggibile. Locatelli è inevitabilmente in ritardo, lo scozzese lo fa cadere nella trappola della scivolata e si prende il rigore.
Ora torniamo un attimo al concetto di onda d’urto. Come detto, la Juventus – si vede chiaramente in questa azione – non ha saputo o comunque non è più riuscita a resistere al forcing del Napoli. Non a caso, viene da dire, nella ripresa la squadra di Thiago Motta ha abbassato notevolmente il suo baricentro (nel primo tempo era posto a 50 metri, nel secondo a 42) e non è riuscita a tentare nemmeno una conclusione verso la porta di Meret. Sì, avete letto bene: nemmeno una.
È chiaro, la Juve avrebbe potuto fare molto di più. Ma anche i meriti del Napoli sono enormi. Perché gli azzurri hanno travolto nello stesso identico modo, solo con tempistiche diverse, anche l’Atalanta una settimana fa. E poi la Fiorentina, l’Udinese, il Genoa. Tutte squadre con caratteristiche diverse, che però hanno accusato le stesse difficoltà della Juventus. E allora forse il focus del discorso va spostato sulla forza, sulla qualità, e sulla consapevolezza del Napoli. Quindi, inevitabilmente, sul lavoro svolto da Antonio Conte.
Il finale, ovvero Pasquale Mazzocchi e Giovanni Simeone
In questo senso, l’ingresso e l’impatto sulla partita di Mazzocchi e Simeone valgono come la (nuova) esplosione di Anguissa, come il ritorno ad alti livelli di Politano e Rrahmani, come l’importanza immediata acquisita da Lukaku e McTominay. Nel finale, Conte ha corazzato ulteriormente il Napoli inserendo l’ex terzino della Salernitana per Politano e l’attaccante argentino per Lukaku. Nonostante i pochissimi minuti a disposizione, entrambi hanno dimostrato di essere totalmente dentro il progetto del loro allenatore, dentro la missione che il Napoli sente di avere addosso. Le immagini di Simeone che fa a sportellate con gli avversari e che va a contrasto di testa hanno fatto il giro del mondo:
Giovanni “Cholito” Simeonepic.twitter.com/MT1t2ELpZ8
— zdzichu (@Asmerinhooo2) January 25, 2025
Un momento che resterà nell’album dei ricordi di questa stagione, comunque vada a finier
Ecco, questo passaggio potrebbe far pensare che il Napoli di Conte sia una squadra più di pancia che di testa, più fisica/emotiva che tecnico/tattica. Che il Napoli di Conte sia essenzialmente fatto di grinta. E invece non è così, c’è tanto altro. L’intensità che ci mette Simeone – esattamente come quella che ci mettono i suoi compagni – nasce da una leadership che l’allenatore leccese ha costruito partendo dal lavoro sul campo. Dall’efficacia della fase difensiva e dalla forza devastante di quella offensiva. Dagli equilibri ma anche dalla qualità delle sue idee. Perché, come ha detto lo stesso tecnico in diverse occasioni nelle ultime settimane, i risultati che stanno facendo gli azzurri (al momento la proiezione sulle 38 partite è di 91,5 punti) non si possono ottenere senza offrire/produrre qualcosa di bello, di buono.
Il fatto che Conte lo dica – e quindi lo ribadisca, lo rivendichi – ogni volta che può non è un caso. Non può esserlo. È un modo per mettere in luce quanto sta facendo, per evidenziare i cambiamenti che ha apportato – soprattutto rispetto alla sua storia da allenatore – e quanto sia migliorato il Napoli. Che è stato definito «squadra europea», ed è profondamente vero: dal punto di vista tattico e fisico, gli azzurri sono una o anche due spanne sopra la maggioranza delle squadre di Serie A. La classifica lo fa intendere in modo piuttosto chiaro. Il modo in cui gli azzurri sono riusciti a battere la Juventus, il modo in cui l’hanno travolta dopo un primo tempo equilibrato, lo sottoscrive in maniera definitiva.