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Pioli: «Quando ho capito che al Milan era finita? In Europa League, ero sicuro di passare ma i ragazzi fecero poco»

Alla Gazzetta: «Nonostante feci un discorso da pelle d’oca, alla squadra non arrivò nulla. Come mi ha conquistato l’Al Nassr? Senza ipocrisie: i soldi hanno pesato».

Pioli: «Quando ho capito che al Milan era finita? In Europa League, ero sicuro di passare ma i ragazzi fecero poco»
Dc Roma 18/04/2024 - Europa League / Roma-Milan / foto Domenico Cippitelli/Image Sport nella foto: Stefano Pioli

Stefano Pioli è ora allenatore dell’Al Nassr, il club dove milita Cristiano Ronaldo. L’ex tecnico del Milan ha rilasciato un’intervista alla Gazzetta dello Sport in cui ha raccontato la sua nuova vita e il suo addio con i rossoneri.

Pioli: «Come mi ha conquistato l’Al Nassr? Si sono dimostrati competenti, ma i soldi hanno pesato»

Pioli, com’è la sua vita a Riad?

«È quella regolare di un professionista: dalle 7.30 alle 16.30 al campo d’allenamento, quando il caldo arrivava a 45°. In questo periodo, al mattino. Al venerdì terminiamo entro le 11 per rispettare le funzioni religiose. Vivo in un compound ben attrezzato, a una trentina di km dal nostro centro sportivo, con mia moglie, mio figlio e il mio staff. Giochiamo a padel, a bowling, esploriamo i ristoranti etnici della città. A parte il traffico, tutto bene».

Come l’hanno conquistata gli arabi?

«Con le domande al primo incontro: competenti, mirate. Il più bell’approccio professionale della carriera. Poi, senza ipocrisie: i soldi hanno pesato».

Offerte dall’Italia?

«Tre. La prima a maggio, l’ultima poco prima dell’Arabia. Ma dopo la splendida avventura al Milan, non mi sembrava giusto allenare in Italia».

Avrebbe lottato per lo scudetto?

«Credo di sì…».

Il livello del calcio arabo?

«Più alto di quanto pensassi: 6-7 squadre possono stare in Serie A, 3-4 si giocherebbero la zona Champions. All’inizio, all’Al-Nassr, non ho forzato, poi piano piano abbiamo portato i giocatori dove volevamo noi, soprattutto sul piano dell’intensità».

Cristiano Ronaldo?

«Se io arrivo mezz’ora prima all’allenamento, lui 25 minuti prima. È sempre il primo a salire sul pullman. Un perfezionista che pretende tanto da sé e dagli altri. Vive la squadra, aiuta, consiglia. A volte, lascio che parli ai ragazzi. Non posso considerarlo come gli altri. Ma è intelligente, rispetta i ruoli».

Anche a Ibra lei lasciava spazio in spogliatoio…

«Sì, ma hanno caratteri diversi. Ibra era impetuoso con una personalità dominante. Cristiano è leggenda, è planetario, è enorme… Ha in testa i mille gol ufficiali. Li farà. Non gliene mancano molti».

Lo sente ancora Zlatan?

«Lui mi ha scritto quando ho firmato per l’Al-Nassr, io gli ho fatto i complimenti dopo Madrid. Ci siamo rabbracciati qui a Riad. È stato un piacere allenarlo, non facile, ma proprio per questo un piacere. Ricorderà senz’altro una discussione importante nel mio ufficio… A me è servita».

Maldini e Massara?

«Siamo rimasti in contatto. Ho lavorato bene con due persone oneste e molto competenti. La nostra intesa era fortissima. Poi con Paolo [Maldini] ci sono state anche discussioni forti, perché siamo due teste dure».

L’ex tecnico del Milan: «Quando ho capito che sarei andato via? In Europa League, ero sicuro di passare ma i ragazzi fecero poco»

Theo è molto legato a lei. Sta soffrendo…

Pioli: «Theo è un bravo ragazzo. Ognuno ha le sue strategie per ottenere il meglio dai giocatori. Non c’è stato un solo giorno di Milan in cui non abbia dovuto spronarlo. Ma ditemi un solo terzino sinistro al mondo che sappia spostare le partite come lui. Mi hanno rimproverato di usare solo la carota. Non è vero. Ma il bastone io non lo mostravo in pubblico».

Leao?

«A forza di criticarlo, si perde di vista la realtà, cioè un ragazzo in continua crescita. Anche quest’anno. Io resto convinto che Rafa possa ancora diventare fortissimo, non so se da Pallone d’oro, ma molto più forte di ora. Ci sta arrivando. Quando andava in nazionale gli dicevo: “Osserva bene tutto ciò che fa CR7, poi me lo riferisci”. Tornava, mi raccontava e io gli dicevo: “Lo vedi? Fallo anche tu!”».

De Ketelaere?

«Lì è stato bravissimo Gasperini a trovargli la collocazione giusta, in attacco. Noi avevamo già Giroud e Leao. Ci serviva uno che lavorasse anche più dietro. Poi è cresciuto atleticamente e ha trovato a Bergamo la dimensione giusta. San Siro e la maglia del Milan pesano tanto. Charles è fortissimo, ma nella finale di Dublino ha faticato e l’anno scorso contro di noi pure: Thiaw l’annullò. Deve ancora imparare a gestire le pressioni forti. È giovane. Di certo non sbagliammo ad acquistarlo».

Ha seguito le partite del Milan?

«Poco. Confesso: non ci riuscivo, mi emozionavo troppo davanti alla tv. È stato un distacco importante. Ho visto per intero una partita sola, la più brutta… Milan-Juve. E il secondo tempo col Real».

Quindi non ha visto il derby…

«Era scritto che il Milan vincesse, senza di me…».

Dopo 5 anni, la storia tra lei e il Milan era finita comunque o quei derby hanno pesato?

«Era arrivata una conclusione fisiologica, i derby l’hanno accelerata. Perderne sei di fila mi ha fatto male, naturale. Soprattutto i due di Champions, anche perché hanno tolto valore a un grande risultato: essere tornati in semifinale dopo 16 anni».

Quando ha capito che al Milan era finita?

«C’è stato un momento preciso: ritorno dei quarti di Europa League, Roma-Milan, all’Olimpico. All’andata avevamo perso 1-0. In spogliatoio, prima del match feci un discorso da pelle d’oca, uno dei miei più sentiti di sempre. Ero sicuro di passare. Invece alla squadra non arrivò nulla e in campo fece poco. Lì mi accorsi che quello che davo non bastava più. L’empatia si era guastata».

Rimpianti? Rimorsi?

«Nessuno. Per me, esiste un solo metro per valutare un’avventura professionale: valutare la squadra come l’ho trovata e come l’ho lasciata. Tutto ciò che è accaduto in mezzo, di buono e di cattivo, fa parte del percorso e va accettato».

L’Inter è ancora la più forte?

Pioli: «Sì, anche se l’Atalanta è cresciuta, grazie al lavoro eccezionale di Gasperini, ma anche dei Percassi. Mi è piaciuta un’intervista recente di Ancelotti, in cui spiega che è venuto fuori dal momento difficile e dal 4-0 del Barcellona grazie all’appoggio della società. È così, l’ho provato: non ci può essere progetto vincente senza una società forte alle spalle. Napoli? Conte per il campionato italiano è una garanzia. Gli hanno rinforzato la squadra e ha settimane libere da coppe. Lotterà fino alla fine».

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