Il ct azzurro nel giugno 2012 per l’Europeo in Polonia e Ucraina ha raccontato a La Stampa: «ho visto gli occhi di tanti ragazzi luccicare»
Nel giorno della Memoria La Stampa intervista Cesare Prandelli che era commissario tecnico azzurro nel giugno 2012 quando la Nazionale, dal ritiro di Cracovia dove preparava l’Europeo in Polonia e Ucraina, andò in visita ai luoghi dell’Olocausto, Auschwitz e Birkenau.
«I racconti dei sopravvissuti ci hanno toccato il cuore, ho visto gli occhi di tanti ragazzi luccicare, e quando le parole sono finite ci sono stati gli abbracci e i ringraziamenti per quanto ci avevano trasmesso».
Se dovese isolare un solo ricordo?
«Ne conservo uno che definirei fisico, quello di gradini antichi consumati da milioni di passi, incavati dalle forme di milioni di piedi. Quel ricordo mi è rimasto addosso e mi capita, davanti ad alcuni tipi di scale, di ripensarci. E immaginare file di persone dolenti salire, curvate dall’ingiustizia e dalla fatica».
Come nacque l’idea di organizzare la visita al lager?
«In maniera naturale, spontanea, appena stilato il programma per preparare l’Europeo: Auschwitz-Birkenau era vicino al ritiro, ci siamo guardati in faccia e abbiamo detto che era giusto andare. Decidemmo all’unanimità con lo staff della federazione, senza enfatizzare nulla il calcio a volte arriva in ritardo, noi forse quella volta in anticipo».
Dei calciatori cosa la colpì?
«L’attenzione. Qualcosa di profondo. Ognuno reagì alla sua maniera, qualcuno si chiuse nel silenzio e qualcuno inanellò domande, durante la visita ognuno apparve più scosso dinanzi a storie e posti diversi, ma in tutti, indistintamente, si percepiva l’identica attenzione. Si vedeva che avevano desiderio di ascoltare, bisogno di capire».