Al CorSera: «Voglio diventare un tennista completo e imparare a vincere su tutte le superfici. Cahill è un coach in campo e nella vita, vedremo se riuscirò a trattenerlo».
Jannik Sinner, fresco vincitore degli Australian Open, ha rilasciato un’intervista al Corriere della Sera dopo il trionfo di domenica contro Zverev.
Sinner: «Tutti mi chiamavano predestinato, ma per me esiste solo la predestinazione al lavoro»
È più intenso il dolore di una sconfitta o la gioia per una vittoria, Jannik?
«Il dolore quando perdo è più forte perché noi esseri umani siamo maggiormente attaccati alle cose che non abbiamo e ci sfuggono, piuttosto a ciò che abbiamo. È un nostro difetto».
Ha fatto le ore piccole per festeggiare?
«Ma no, niente di esagerato né speciale. Una piccola festa con gli amici, mio fratello che vedo poco e il team che ormai è una seconda famiglia. Momenti semplici da condividere dopo due settimane caotiche. Ci siamo riuniti tra di noi per una cenetta: abbiamo trovato il nostro tempo e il nostro spazio».
L’Australia è speciale anche perché è la terra di coach Darren Cahill, che a fine anno si ritira…
«Il coaching di Darren comincia in campo, ma poi esce anche fuori, nella vita. Con lui vado d’accordo perché capisce il suo giocatore, credo che ci sia riuscito anche con Hewitt, Agassi e Halep. Insieme a Darren imparo molto. Con Simone Vagnozzi c’è un rapporto speciale: si rispettano molto, coprono aree diverse del mio tennis. Insieme, sono formidabili. Se riuscirò a convincere Cahill a rimanere? Eh, chi lo sa, lo scopriremo in futuro. Di certo ci tenevo a vincere a Melbourne anche per lui».
C’è differenza tra il primo e il secondo Australian Open?
«Moltissima. Qui, nel 2024, ho capito di cosa sono davvero capace e ho tirato un sospiro di sollievo. Tutti mi chiamavano predestinato ma per me esiste una sola forma di predestinazione: al lavoro. I risultati non sono mai scontati. Quest’anno mi sono goduto di più la vittoria, però ogni Slam ha la sua storia e le sue difficoltà».
L’obiettivo diventa Wimbledon? Vincere sull’erba sarebbe la consacrazione…
«Di certo voglio diventare un tennista completo, non bravo su una sola superficie, il veloce. Certo questa è la mia dimensione, su terra e erba devo migliorare. E mi impegnerò a fondo per riuscirci. A me del tennis piace proprio questo: capire come e dove posso fare progressi, imparare, evolvermi. Sulla terra devo muovermi meglio, l’erba per le sue caratteristiche richiede un tennis particolare che devo ancora approfondire: ci ho giocato poco. L’obiettivo è diventare un tennista all around, non uno specialista del cemento».
L’anno scorso colpì il discorso con cui ringraziava i suoi genitori. Quest’anno le parole d’incoraggiamento a Zverev sconfitto hanno fatto il giro del mondo…
«Non mi sembra di aver fatto nulla di particolare. Zverev l’ho visto triste e commosso: ho cercato di dargli un piccolo conforto. Non è facile perdere una finale Slam. Sasha un grande titolo se lo merita più di tutti e ha gli strumenti per riuscirci. I suoi sacrifici sono i miei».
Non ha voglia di ritagliare un po’ più di tempo per sé, nell’esistenza frenetica che conduce? Intanto ha rinunciato a Rotterdam, dove avrebbe difeso il titolo…
Sinner: «Il mio corpo ha bisogno di tempo per recuperare. Mi piacerebbe avere più libertà però io mi conosco, per me è tutto o niente: se lavoro mi dedico al tennis al cento per cento. Piuttosto preferisco prendermi un giorno in più di pausa perché quando ricomincio non mi fermo più. Durante la stagione vedremo se sarà possibile inserire qualche giorno off in più».