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Amedeo Carboni: «Oggi allo stadio si va per fare affari. Gli Sky Box vanno via come il pane»

Alla Gazzetta. L’ex calciatore oggi ristruttura stadi: «Le aziende portano lì i clienti, guardano lo spettacolo e fanno business, è una specie di Piazza Affari. Solo in Italia sono rimaste gabbie e reti»

Amedeo Carboni: «Oggi allo stadio si va per fare affari. Gli Sky Box vanno via come il pane»
Lm Madrid (Spagna) - stadio Santiago Bernabeu - Real Madrid / foto Luca Martini/Image sport nella foto: panoramica dello stadio

Restare nel calcio facendo altro. E sentirsi pienamente realizzati. La Gazzetta ha intervistato Amedeo Carboni, ex Roma e Valencia, lavora per la Molcaworld, azienda valenciana che, tra le tante altre cose, si è specializzata nella ristrutturazione degli stadi.

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Amedeo Carboni: «Gli stadi sono una specie di Piazza Affari»

Altri crucci?

«Il tifo. L’Italia è l’unico paese tra le grandi nazioni calcistiche europee ad avere gabbie, reti, vetri, protezioni. Una cosa dell’altro mondo. Tutti lì a riempirsi la bocca con l’atmosfera degli stadi inglesi, ma lì le reti le hanno tolte da decenni. Allo stadio devono andare i tifosi che tifano, non quelli che spaccano. Lei sa bene che Florentino Perez e Joan Laporta per anni hanno vissuto sotto scorta perché avevano buttato fuori gli Ultras dal Bernabeu e dal Camp Nou. Ora sono tutti contenti. In Italia va cambiata la cultura, e qualcuno deve cominciare».

Che idea si è fatto del caso San Siro?

«Non si può chiedere a un club di investire 30-40 milioni per uno stadio lasciandoglielo per poche stagioni e in più con l’affitto da pagare. Va cambiato completamente il rapporto di concessione: in Spagna i comuni che hanno stadi affittati ai club sono felicissimi quando questi fanno i lavori. Ma le condizioni sono diverse per tempi e denaro. E un’altra cosa».

Prego.

«Lo stadio ormai è parte della città, socialmente, culturalmente e turisticamente. Non è più un posto dove vai solo a vedere la partita la domenica. È aperto sette giorni su sette, c’è chi ci fa una clinica, chi un centro commerciale, chi un cinema. Oltre a bar e ristoranti. E i bus turistici di Madrid, Barcellona, Valencia, Siviglia passano tutti per lo stadio. Deve essere un punto centrale nella vita cittadina, un monumento, un punto di aggregazione».

Ha iniziato quasi per caso, poi?

«Ho ascoltato per due anni. Ho imparato, ho studiato. E ora posso parlare con architetti e ingegneri per cercare di conciliare estetica e funzionalità. Ci sono tre grandi aree di intervento: accessibilità, sicurezza e business. Nel primo campo la Uefa impone un protocollo preciso e dettagliato e le norme cambiano spesso, vanno studiate e rispettate. Il secondo è altrettanto rilevante, il terzo è fondamentale. Oggi allo stadio si va per tifare… e per fare affari. Gli Sky Box sono la prima cosa che si vende e vanno via come il pane, ancor prima che siano pronti.

Perché per le aziende sono una benedizione, portano lì i clienti che mangiano bene, guardano uno spettacolo e possono fare business perché c’è un’area comune che è una specie di Piazza Affari. Non abbiamo inventato niente eh? Tutto arriva dall’America. Sono stati loro i primi a capire l’importanza economica di un impianto: lì i tifosi vanno tre ore prima ed escono tre ore dopo la partite. E in quelle sei ore che fanno? Spendono».

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