Descrizione di una soggezione (mediatica e non solo) che sconfina quasi nel mito. È accompagnato da un’aura di invincibilità. Il gol di Angeliño un po’ l’ha scalfita ma solo un po’
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Antonio Conte o della mitopoiesi. Nei tempi contemporanei il mito va a braccetto col mistero. Elena Ferrante sarebbe diventata Elena Ferrante se fosse stata lì, visibile in carne ossa? Crediamo di no. Con ogni probabilità il Greenwich non si sarebbe innamorato di lei. Confinandoci a Napoli, Liberato senza il cappuccio e l’anonimato sarebbe stato il fenomeno che per un certo periodo è stato? La risposta è scontata. Antonio Conte è un Keyser Söze smascherato. Non ha bisogno del mistero per incutere timore reverenziale. Soggezione. È come se fosse accompagnato da un’aura magica. L’aura dell’invincibile. Spesso il suo arrivo in una squadra è accompagnato da astrusi calcoli sul differenziale Conte, ossia quanti punti porta in più averlo in panchina. Ma la domanda, a nostro avviso, non è esaustiva. Il nodo non è quanti punti porta in più avere Antonio Conte in panchina. Ma quanti punti in più porta in dote il mito Antonio Conte. La sua sola esistenza. Il metterlo lì. Con la sua energia. Con il suo modo fisico di vivere le partite. Con il suo modo di dar vita e condurre a quelli nel Regno Unito chiamano mind games.
Il Napoli sarebbe stato così temuto con un altro allenatore? Crediamo di no. La scorsa estate, a bocce ferme, con la campagna acquisti bloccata come sulla Salerno Reggio Calabria negli anni Novanta, Gigi Buffon disse: «Il Napoli con Antonio Conte arriverà primo o secondo». Così, al buio.
Il mito dell’invincibilità conta quasi quanto l’avere una squadra effettivamente forte. Da avversario vai in campo con una strana sensazione che ti accompagnerà fino alla sconfitta. È dall’inizio del campionato che Caressa a Sky ripete: “Attenti perché quando le squadre di Conte vanno in testa, poi è dura riprenderle”. Come se non fosse importante andare a vedere il contenuto, ossia la formazione. È la confezione che fa la differenza. Non fu un caso se agli Europei del 2016 sconfisse Spagna e Belgio (quella Spagna), e fu sconfitta solo ai rigori dalla Germania con De Sciglio, Pellè, Zaza, Eder, Giaccherini, Parolo. L’Italia uscì ai quarti ma sembrò quasi un successo. Non a caso, poi andò al Chelsea di Abramovich. Non al Canicattì.
Il mito resiste e si alimenta anche quando qualcosa si inceppa. A Milano, la Milano interista, da domenica sera stanno impazzendo al pensiero che il Napoli con tre pareggi consecutivi è ancora là, in testa, da solo, e ha incrementato anche il vantaggio da un punto a due. Tre pareggi di fila. Tre partite in cui il Napoli, in posizione di vantaggio, si è fatto rimontare. Eppure è sempre lì. Circostanza che contribuisce ad alimentare ulteriormente la figura leggendaria. Anche a Napoli c’è qualcuno che soffre maledettamente questa situazione (non è difficile immaginare chi) e infatti stanno già circolando storie fantasiose su chi abbia realmente voluto al Napoli McTominay. Prima circolavano anche su Neres ma adesso, con l’infortunio, della paternità di Neres si sono già perse le tracce.
La Gazzetta dello Sport non titola quasi mai sul Napoli. Titola su Conte. È Conte il problema. È Conte lo scoglio che viene descritto come insormontabile. Il Napoli è l’accompagnamento. In prima pagina il titolino è: “L’Inter ricade, Conte gode”. Non Napoli gode. Il Corriere dello Sport titola “La Juve fa un favore a Conte”. Questo accade tutti i giorni dall’inizio della stagione.
Eppure in queste tre partite qualcosa è avvenuto. In fondo il gol di Angeliño in pieno recupero, il pareggio della Roma al 92esimo, è stato un po’ come il pugno di Rocky a Ivan Drago. Quel pugno che fece uscire il sangue al gigante russo. Un colpo all’aura di invincibilità. Non a caso il Napoli ne ha poi pareggiate altre due. È come se gli avversari avessero preso un po’ di coraggio. È stata intaccata la leggenda.
L’invincibilità si costruisce anche così. Col mito. Che ovviamente affonda le radici nei meriti che sono enormi ed evidenti. Quando l’avversario ti teme ancor prima di giocare, parti da una situazione di vantaggio. Di superiorità. Da avversario ti autoconvinci di partecipare a un gioco impari. Senza volerlo, ti autosminuisci. Angeliño non diciamo che abbia squarciato il velo, però un buchino l’ha fatto. Eppure il mito ha resistito attingendo a poteri soprannaturali. Mistici. Con le due sconfitte dell’Inter in tre partite. Con l’Atalanta che pareggia in casa contro Torino e Cagliari.
Non vorremmo essere blasfemi ma per certi versi nemmeno per Maradona era così. Maradona era un dio terreno. Era temuto, odiato, avversato. Era diverso. Anche perché Maradona era di Napoli e dei napoletani. E basta. Conte no. È un meridionale da sempre calcisticamente emblema del potere del Nord. Juventus innanzitutto. E poi anche Inter. Gli interisti odiano Conte. Ma lo odiano (sportivamente e non solo) e lo temono per gli stessi motivi. Perché l’hanno visto all’opera. In fin dei conti, Inter e Juventus non se lo sono potuto permettere. Così come il Milan. E si dividono tra chi lo detesta e chi lo rimpiange e invidia i tifosi del Napoli. Paradossalmente, è stato più criticato qui nei mesi scorsi che tra gli avversari del Nord. Loro ne avevano e ne hanno solo paura. Loro, più dei napoletani, pensano e temono che Conte possa vincere anche con una squadra decisamente più debole. Ne sono terrorizzati.