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Gli otto palloni toccati da Lukaku sono un segnale inquietante

Una squadra che difende con intensità, non concede una transizione così pulita al Como sul secondo gol: fa fallo su Nico Paz

Gli otto palloni toccati da Lukaku sono un segnale inquietante
Db Como 23/02/2025 - campionato di calcio serie A / Como-Napoli / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Romelu Lukaku

La verità di Conte

Dopo Como-Napoli 2-1, nella conferenza stampa post-gara, Antonio Conte si è assunto la responsabilità della sconfitta. Com’è giusto che sia. Allo stesso tempo, però, ha anche sottolineato che il suo Napoli ha perso la partita dell’intensità, della fame. Ecco, questa è una lettura del tutto centrata, profondamente vera. Perché il Napoli visto a Como, dal punto di vista tattico, non ha demeritato. Nel senso che il piano partita preparato da Conte si è rivelato giusto, corretto, fin quando però i suoi giocatori hanno avuto la forza di applicarlo. Poi, però, quel fuoco è come se si fosse spento.

Attenzione: non stiamo dicendo che Conte non abbia colpe e che la sconfitta contro il Como è dovuta solo alla stanchezza/negligenza dei giocatori. L’allenatore di una squadra di calcio, infatti, è responsabile anche della tenuta fisica/psicologica dei suoi uomini. Il punto è che il Napoli ha giocato bene – e anche ad handicap, visto l’errore clamoroso da cui è scaturito il vantaggio del Como dopo sette minuti – per un certo segmento della partita, poi si è affievolito. A quel punto la squadra avversaria ha annusato la possibilità di vincere, ha fatto tutto ciò che poteva per provarci e ci è riuscita. Senza trovare una reale resistenza/risposta da parte di Conte e dei suoi uomini.

Ecco, per dirla in breve: le parole di Conte sono verità, rispecchiano e restituiscono fedelmente la realtà. Al Napoli visto a Como sono mancate le energie – fisiche, mentali, emotive, dalla panchina – per poter andare oltre una certa autonomia. Per poter continuare a inibire il gioco degli avversari, per non subire le loro iniziative. È un discorso che abbraccia la totalità della squadra azzurra, che riguarda cioè le scelte della società in sede di mercato, quelle dell’allenatore, ovviamente anche quelle dei calciatori. Tutti, a loro modo, sono colpevoli dell’andamento negativo dell’ultimo mese. Così come erano – e restano – meritevoli di grandi elogi per la prima parte della stagione.

Un nuovo Napoli, ancora

La trasferta di Como, per il Napoli, è iniziata col piede giusto – almeno dal punto di vista tattico. La squadra di Conte, infatti, si è presentata allo stadio Sinigaglia esibendo un nuovo abito tattico, una sorta di 3-5-2 solo nominale che si trasformava in un visionario 3-3-4. Per capire cosa intendiamo, basta riguardare la formazione titolare degli azzurri: Meret, difesa a tre composta da Di Lorenzo-Rrahmani-Buongiorno, centrocampo a tre con Billing-Lobotka-McTominay, due esterni a piede invertito come quinti (Politano e Spinazzola) e la coppia Lukaku-Raspadori in avanti.

Con giocatori del genere, era inevitabile che la squadra di Conte andasse a giocare in modo aggressivo e ambizioso. Di fatto, il modulo fluido del Napoli andava a creare dei chiari e precisi accoppiamenti di pressing con il 4-3-3 spurio di Cesc Fàbregas, in cui Nico Paz ha agito da falso nueve mentre Strefezza e (soprattutto) Diao partivano dall’esterno per poi aggredire la profondità alle spalle della linea a tre di Conte.

In alto, vediamo Politano e Spinazzola sulla stessa linea di Lukaku, Raspadori e anche Billing. Sopra, invece, gli accoppiamenti scelti da Conte in fase di pressing.

In alcuni momenti della partita, esattamente come avvenuto contro la Lazio, Raspadori è retrocesso verso il centrocampo per farsi dare il pallone e smistarlo in avanti, soprattutto verso gli esterni. Di fatto, è come se il Napoli avesse alternato il 3-3-4 di cui abbiamo già detto con un più ambizioso 3-2-5, un sistema in cui McTominay e Billing diventavano i giocatori più vicini a Lukaku in fase offensiva. In questo senso, i numeri sono davvero significativi: Raspadori ha giocato 49 palloni, addirittura 7 in più rispetto a Lobotka (che però è uscito a cinque minuti dalla fine). La mappa di tutti i tocchi dell’ex attaccante del Sassuolo, se possibile, è ancora più eloquente:

Seconda punta solo nominale, ma in realtà tuttocampista

Depotenziare il Como (ma senza brillantezza offensiva)

Come detto, però, la cosa che ha sorpreso di più – e in positivo – del Napoli, almeno in avvio di gara, è stata l’aggressività e la buona efficacia in fase di pressing. Conte ha preparato la partita in modo da sfruttare uno dei problemi del Como, vale a dire la sua tendenza a esagerare col palleggio. È grazie a un errore forzato dal pressing avversario che è nato il gol di Raspadori, ma i buoni riscontri del lavoro fatto dagli azzurri vanno ricercati nei numeri offensivi generati dalla squadra di Fàbregas: nel primo tempo, l’unica parata di Meret è stata quella sul tiro di Alex Valle, scagliato da oltre 30 metri; a parte quella conclusione, l’unico altro tentativo del Como è arrivato al minuto 39′ con Diao. Stop, fine delle trasmissioni.

Dall’altra parte del campo, però, non è che sia arrivato granché. Nel senso: il Napoli ha effettivamente depotenziato il Como, ma ha fatto fatica a costruire palle gol vere, nitide, importati. A parte il gol di Raspadori, l’unico tiro in porta è stato quello tentato da Billing su calcio di punizione. Le altre 2 conclusioni non respinte da un difensore del Como sono state quelle tentate da Di Lorenzo e Lobotka, entrambe sugli sviluppi di un corner.

Un errore forse meno assurdo rispetto a quello di Rrahmani, ma non così tanto

È questo il problema del Napoli, almeno guardando alle ultime settimane. La squadra di Conte è poco varia e quindi poco efficace nella sua proposta offensiva. Non riesce a creare un buon numero di occasioni pulite, se non attraverso il recupero del pallone in zona avanzata, e alla lunga paga questo sforzo in termini di intensità in tutte le fasi di gioco. In questo senso, il fatto che Lukaku abbia toccato soltanto 8 palloni (sì, avete letto bene: solo 8) nel corso di tutta la sua partita è un segnale a dir poco inquietante.

Certo, su questa aridità offensiva pesano molto l’infortunio di David Neres e il passaggio alla difesa a tre dettato dall’assenza contemporanea del brasiliano, di Spinazzola e di Olivera. Ma proprio il passaggio al 3-5-2, almeno in teoria, avrebbe potuto dare maggiore centralità a Lukaku. E invece il centravanti belga è tornato di nuovo in quella sorta di limbo senza uscita in cui viveva a inizio stagione. Fa fatica ad attaccare la profondità, ma è anche poco presente come pivot, come muretto per gli scambi con Raspadori. Che a sua volta, forse, interpreta il ruolo in maniera troppo conservativa: si allontana da Lukaku e rende più difficile aprire un reale canale di scambio.

Raspadori è il giocatore nel cerchio azzurro: un po’ troppo lontano da Lukaku?

La ripresa

Già verso la fine del primo tempo, l’alta intensità del Napoli è come se fosse scemata. Ed è qui, in questo momento esatto, che Fàbregas e il suo Como hanno preso coscienza dell’opportunità che avevano di fronte: quella di vincere la partita senza cambiare il loro atteggiamento. Semplicemente, alzando loro il ritmo di gioco e osando qualcosa di più in fase offensiva. Basta guardare i dati del secondo tempo per rendersi conto di quanto stiamo dicendo: tra il fischio d’inizio del secondo tempo e il minuto 63, il Como ha messo insieme 4 conclusioni tentate verso la porta di Meret. Il Napoli, invece, non ne ha tentata nemmeno una.

Cosa è successo? Semplice: Nico Paz e compagni hanno iniziato a muovere il pallone con maggiore velocità e convinzione. Hanno aumentato il numero di passaggi (nel primo tempo il Napoli aveva tenuto il possesso palla per il 55% del tempo di gioco, nei primi 20′ della ripresa il Como ha toccato quota 57%), hanno alzato il numero di dribbling tentati e riusciti (5 e 3, contro i 3 dell’intero primo tempo) e così hanno iniziato a mandare a vuoto il pressing predisposto da Conte. Che, da parte sua, ha assorbito il nuovo scenario con due cambi rivelatisi poi discutibili: Anguissa per Billing e Simeone per Lukaku. Dieci minuti dopo, il Como è passato al 4-2-3-1 puro con Cutrone al posto di Caqueret.

Il 4-2-3-1 del Como

Subito dopo i cambi, il Napoli ha avuto due ottime occasioni: quella di McTominay a tu per tu con Butez e quella di Anguissa, su tocco di Politano. Se una di queste due opportunità si fosse trasformata in gol, adesso forse staremmo qui a elogiare la lettura della partita da parte di Conte, la sua sagacia, la sua intelligenza. E invece non è andata così: queste due chance sono stati gli unici sussulti prodotti dal Napoli nel secondo tempo.

Per il resto, sia Simeone che Anguissa hanno offerto un contributo impalpabile: il centrocampista camerunese, forse anche condizionato dalla diffida che pendeva su di lui a pochi giorni da Napoli-Inter, è entrato senza manifestare alcun tipo di nerbo, di vitalità; l’attaccante argentino, invece, è rimasto imbottigliato in una zona di campo che i suoi compagni hanno letteralmente faticato a raggiungere. Perché il Como, pur producendo una sola azione vera, quella che ha portato al gol di Diao, ha continuato a difendersi in modo ambizioso, a tenere alti il baricentro e l’intensità dei contrasti. Così ha trovato la transizione che gli ha permesso di vincere la partita. Così ha impedito al Napoli di essere pericoloso.

Il gol di Diao

Come si vede dal video precedente: non siamo ai livelli tragicomici dell’autogol di Rrahmani, ma anche il gol di Diao nasce da uno scambio sbagliato – sarebbe meglio dire sballato – tra Raspadori e Lobotka. Proprio in virtù di questo, però, è giusto tornare indietro, cioè all’inizio. Alle parole di Conte. Una squadra che attacca con intensità, semplicemente, non sbaglia questo tipo di passaggi. Ma soprattutto: una squadra che difende con intensità, molto più semplicemente, non concede questa transizione così pulita, così lineare. Fa fallo su Nico Paz, o comunque si chiude meglio sul taglio esterno-interno di Diao.

Sono dettagli, sì. Ma sono dettagli che fanno la differenza. Il Como, tanto per dire, ha perso diversi palloni in fase di disimpegno. Da uno di questi errori, come abbiamo visto prima, è nato il gol del pareggio di Raspadori. Ma non ha mai difeso molle, senza uscire forte, come successo in occasione del gol di Diao. E questo stesso discorso può essere espanso alla stragrande maggioranza della ripresa: un tempo di gioco in cui il Como ha fatto valere le sue qualità – buone, anche ottime in alcune individualità, ma sicuramente inferiori a quelle del Napoli – mentre il Napoli non ci è riuscito.

Il finale è stato una specie di sagra dell’improvvisazione. O della disperazione. Nel senso che Conte ha cercato di rimettere in piedi la partita inserendo un quinto di destra più offensivo (Ngonge) e poi il quarto attaccante (Okafor), sacrificando Lobotka. Il 4-2-4 visto negli ultimi minuti ha dato un po’ di brio rispetto al 3-5-2 del secondo tempo, ma alla fine l’unica occasione vera è stata quella capitata sul destro di Rrahmani. Il suo tiro dal limite è finito largo, e neanche di poco, alla sinistra di Butez.

Conclusioni

Alla fine, dopo aver fatto le somme e le sottrazioni, viene fuori un dato incontrovertibile: il Napoli visto a Como ha dato e offerto troppo poco. E per troppo poco tempo. Si possono salvare le prestazioni di Billing e di Spinazzola, volendo anche quella di Raspadori. Ma per il resto la squadra di Conte vive un momento di scarsissima brillantezza a livello offensivo. Che si ripercuote inevitabilmente anche dietro, nella solidità arretrata. Perché se il Napoli deve muovere in avanti molti giocatori per essere pericoloso, o quantomeno per provarci, finisce per essere più friabile quando viene attaccato.

In fondo, a pensarci bene, le parole di Conte arrivano proprio a questo punto – ovviamente facendo il giro dall’emotività alla tattica. Il Napoli dell’ultimo mese non riesce più a esprimere quelle folate di pura intensità che hanno travolto la stragrande maggioranza delle avversarie stagionali. Gli infortuni combinati e la mancata sostituzione di Kvara con un giocatore già pronto per entrare in campo, perché Okafor non lo era e non lo è, hanno determinato una condizione di rosa corta a cui Conte non riesce più a far fronte. Se non attraverso trovate tattiche che hanno durata breve, e che alla fine si sgonfiano quando entrano in contatto con cambi obbligati e a volte cervellotici.

Poi ci sono anche i giocatori, certo: gli errori di McTominay e Mazzocchi (contro la Roma), di Juan Jesus e Mazzocchi (contro l’Udinese), di Rrahmani (a Como e anche a Roma contro la Lazio) e di Lobotka dicono che tutti i giocatori, non solo quelli dal valore assoluto meno elevato, dimostrano che il Napoli è in difficoltà. Ed è una difficoltà strutturale. Su cui è l’allenatore a dover lavorare, trovando un rimedio. C’è ancora tempo per sistemare le cose, Conte l’ha già fatto. E Napoli-Inter all’orizzonte è un’occasione per dare una svolta anche a livello emotivo. Di certo, come dire, tra sei giorni non potranno mancare fame e intensità.

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