A Como sembravano tanti Rrahmani e Meret che si cercavano e non si trovavano. Andrà sacrificato Raspadori, dispiace ma così ne recuperiamo dieci
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Il Napoli corre, il punto è che col 3-5-2 ha perso gli automatismi. È storicamente squadra da 4-3-3
Cari amici vi scrivo, così mi distraggo un po’…
Non c’è niente di meglio che una canzone di Lucio Dalla per distrarsi dalle delusioni provocate da un traditore “lunch match” il quale, oltre a rovinarci una tranquilla digestione di un semplice e poco pesante pranzo domenicale, ci ha subdolamente reso evidente, in un colpo solo, che tutta quella serie di dubbi, di piccole incertezze, di timori che ci portavamo dietro da tre settimane, sono diventati cruda e dura realtà.
Sono bastate meno di due ore trascorse su quel ramo del lago di Como che volge a mezzogiorno e trentasette (ahi, Rrahmani) per far gridare a tutti, amici e nemici, che il Re (alias, il Napoli) è nudo.
Immediatamente si è scatenata una guerra a suon di “post” tra Apocalittici e Integrati (Umberto Eco ci perdoni).
I primi, a gridare ai quattro venti che: Ormai È Tutto Finito, Non Resteremo Nemmeno Tra Le Prime Quattro, A Fine Stagione Andranno Via Tutti. E via disperando.
Gli altri, a rispondere: Non È Successo Niente, Sabato Battiamo l’Inter e Torneremo in Testa, Siamo a Un Solo Punto Dalla Prima Dov’è Il Problema? E via sperando.
Per quanto mi riguarda non riesco a identificarmi con nessuno dei due schieramenti, e ciò in quanto entrambi poggiano le loro affermazioni su un assoluto e cieco fideismo.
A parte gli, spesso, deliranti commenti leggiucchiati sui Social, non ho ancora letto nessuno – ma solo per mia colpa, in quanto non ho ancora nessuna voglia di leggere niente che riguardi il calcio, forse domani mi passerà e leggerò – che cerchi di analizzare le cause di questo improvviso, ma non inatteso, tracollo. Aggredendo soltanto gli effetti.
A questo punto, prima di andare avanti, devo fare una doverosa premessa.
Non sono un “match analyst”, né, tantomeno, un allenatore.
Mi ritengo soltanto una persona che, dai tempi di Hasse Jeppson e Vinicius de Menezes, segue la squadra, prima, quando vivevo a Napoli, dallo stadio, ora da Roma, dove vivo, da poltrona e tv.
Perciò prendete queste mie considerazioni come una semplice riflessione, senza avere nessuna pretesa (figuriamoci) di dare consigli o suggerimenti a chicchessia.
Io non ho assolutamente visto, ieri a Como, una squadra in precaria condizione atletica. Correvano tanto e senza dare l’impressione di essere affaticati.
Così come non ho visto una squadra svogliata che non stesse dando tutto quello che poteva dare.
E nemmeno ho avuto la sensazione che avessero chissà quali problemi mentali
Pertanto credo che le tre questioni maggiormente indiziate come cause dei recenti problemi del Napoli, cioè condizione fisica, impegno dei calciatori e condizione mentale, nulla abbiano a che fare con gli ultimi deludenti risultati.
È stato proprio l’autogol di Rrahmani a darmi la chiave di lettura per cercare di capire come individuare il virus che ha contagiato il Napoli in questi ultimi tempi.
Rrahmani, costretto a prendere una decisione in una frazione di secondo, come richiede il calcio moderno, ha indirizzato il pallone verso il luogo dove era sicuro di trovare Meret, il quale, a sua volta, si era dovuto spostare in un altro luogo dove pensava gli arrivasse il pallone.
A Como, durante lo svolgimento della gara, i nostri calciatori sembravano tanti Rrahmani e Meret che si cercavano e, spesso, molto spesso, non si trovavano.
Perché non si trovavano? Cosa mancava?
Si chiamano automatismi. E sono questi che mancano oggi al Napoli.
Il modulo 3-5-2, a mio modesto parere, non si addice al Napoli.
I nostri calciatori hanno nel loro Dna il 4-3-3.
Del resto, i migliori risultati li abbiamo ottenuti, anche in questo campionato, con il 4-3-3.
Conte è stato bravissimo quando, a causa dei reiterati infortuni, ha dovuto fare di necessità virtù e ha rispolverato il modulo che limitava i danni dovuti alle assenze.
E ho sempre ritenuto che, in quelle condizioni, i tre pareggi rappresentassero tre punti guadagnati e non sei punti perduti.
Ma ora che, finalmente, la maggior parte degli infortunati sono rientrati tra gli arruolabili, credo sarebbe cosa buona e giusta
tornare al modulo che ci ha dato le maggiori soddisfazioni.
Mi rendo conto che ciò comporterebbe il sacrificio, almeno temporaneo, del pur bravissimo Raspadori.
Ma, forse, sacrificarne uno per recuperarne dieci non mi sembra un cattivo affare.