Il caso Sinner ha illuminato “un sistema autoreferenziale, dove arbitri, avvocati e consulenti si muovono tra federazioni, Tas e studi legali, creando un circolo chiuso di interessi”

Il caso Sinner potrebbe essere la goccia che fa traboccare il vaso – la botte – dell’intero sistema giudiziario sportivo, quello basato sul Tas come ultimo appello. Lo scrive El Paìs.
Quello di Sinner è considerato, nell’ambiente, un grande successo per il suo avvocato, Jamie Singer, del prestigioso studio legale londinese Onside Law. Ed evidenzia le fragilità del sistema di giustizia sportiva internazionale, nato alla fine del secolo scorso su iniziativa di Juan Antonio Samaranch, allora presidente del Comitato Olimpico Internazionale (Cio). “Questo sistema – spiega El Paìs – è spesso criticato per la sua vicinanza alle istituzioni sportive e per il suo scarso grado di indipendenza, come sottolineato dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (Cgue).
Il problema è proprio l’architettura del sistema. I casi che lo dimostrano sono numerosi, e antecedenti a Sinner. Quello del ciclista britannico Chris Froome, per esempio, che nel 2017 risultò positivo al salbutamolo, ma l’Unione Ciclistica Internazionale (Uci) evitò di sanzionare, “schiacciata dalla potenza legale del suo team difensivo, guidato dallo studio Morgan”. “Gli avvocati presentarono una montagna di documenti scientifici (oltre 8.000 pagine), ma secondo alcuni membri dell’Uci, la vera ragione per non procedere contro Froome non fu la validità scientifica della difesa, bensì la paura di una sconfitta al Tas, che avrebbe potuto portare a una richiesta di risarcimento milionaria, considerando che lo stipendio del ciclista era di 5 milioni di euro l’anno”.
L’architettura, dicevamo: “il Tribunale Arbitrale dello Sport è un’istituzione privata, creata nel 1981 sotto la guida di Samaranch con l’obiettivo di risolvere rapidamente e gratuitamente le dispute sportive, evitando i tempi lunghi della giustizia ordinaria. I suoi arbitri sono scelti dal mondo olimpico e dalle federazioni internazionali, e sin dall’inizio si era stabilito che la sua giurisdizione dovesse essere volontaria. La gratuità, però, è scomparsa in fretta: oggi, solo per avviare un procedimento servono migliaia di franchi svizzeri, a cui si aggiungono le parcelle degli arbitri (400 franchi all’ora), diarie (150 franchi per i pasti, 350 per l’alloggio) e spese di viaggio. Tutto a carico di chi fa ricorso. Inoltre, gli avvocati più esperti, quelli con le giuste connessioni tra gli arbitri e gli studi legali delle federazioni, sono estremamente costosi. Per esempio, nel 2011 il caso antidoping di Alberto Contador al Tas gli costò circa un milione di euro—e anche lui si affidò allo studio Morgan, come Froome”.
“Anche la libertà di scelta per gli atleti è stata progressivamente erosa. Oggi, quasi tutte le federazioni sportive internazionali impongono nei propri regolamenti che qualsiasi controversia venga risolta esclusivamente dal Tas, escludendo i tribunali ordinari. Questo significa che il Tas giudica le decisioni delle stesse federazioni sportive, senza possibilità di ricorso a un’autorità indipendente. L’unica eccezione è un ricorso al Tribunale Federale Svizzero, che però non valuta il merito delle decisioni, ma solo eventuali vizi di procedura. Il risultato? Un sistema autoreferenziale, dove le stesse persone—arbitri, avvocati e consulenti—si muovono tra federazioni, Tas e studi legali, creando un circolo chiuso di interessi”.
E questo sistema all’Europa non piace, non più. Negli ultimi anni, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha iniziato a metterlo. Una sentenza chiave è stata quella contro la Federazione Internazionale di Pattinaggio (Isu), in cui si è stabilito che l’obbligo di risolvere le dispute esclusivamente al Tas viola il diritto comunitario, perché il tribunale svizzero non garantisce l’applicazione del diritto europeo.
Inoltre, la possibilità per le federazioni internazionali di eseguire direttamente le sentenze del Tas senza un controllo da parte di un tribunale ordinario viola il principio di tutela giuridica previsto dal diritto comunitario.
“Se la Corte di Giustizia dell’Unione Europea accoglierà queste argomentazioni, il Tas e l’intero sistema di giustizia sportiva potrebbero essere costretti a una riforma radicale. Per ora, però, il sistema resta saldo, garantendo protezione agli atleti con il miglior team legale e lasciando gli altri in balia delle decisioni delle federazioni”, conclude El Paìs.