Non ci sono più gli operai di una volta, da Furino a Brio. C’è solo il compagno Gatti. Attorno a lui vedo topolini col gatto Motta
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La Juventus operaia non c’è più, Thiago Motta la costringe a giocare a burraco
Caro Max, sono un operaio della Fiat in cassa integrazione come il collega Vlahovic, e come operaio vorrei dirti caro Carlo Max e, in ogni caso, ti scrivo perché ho letto e apprezzato il tuo articolo sul “Corriere dello sport”, l’esaltazione della Juventus operaia e del compagno Federico Gatti dell’agricola e rossa Rivoli, governata da Ulivo e Centrosinistra.
Il compagno Gatti ha fatto il muratore e il riparatore di tetti prima di diventare calciatore operaio di un metro e novanta, statura dovuta agli anni del benessere rispetto a noi misirizzi del dopoguerra. Ma questo è un risibile dettaglio.
L’operaio Gatti che ha trovato nel calcio il suo destino migliore ricorda i contadini friulani di un volta che si riscattavano col pallone. I bei tempi di pane, amore e fantasia.
Bene, il compagno Gatti operaio è il nostro orgoglio che siamo stati espulsi dalla catena di montaggio sostituita dai Thiago Motta del progresso con congegni moderni. Il problema è che il compagno Gatti è l’unico operaio di una Juventus di migranti piccolo-borghesi, e questa Juve operaia non c’è ancora. Tanto è vero che, per segnare e vincere, tocca ricorrere ancora al Piano Marshall e all’America, voglio dire a Weston McKennie, americano di Fort Lewis, una installazione dell’esercito degli Stati Uniti nello stato di Washington, e tu sai quanto sopportiamo l’America, yankee go home, ma per fortuna alla Juve si sono rimangiati il go home a McKennie.
E, diciamoci la verità, il longilineo e compito Thiago Motta non ha niente del bisnonno bracciante che emigrò da Rovigo nel Sud America, ma è un signorino dei salotti del calcio con le sue idee socialdemocratiche, appuntito come un lapis, con un discutibile senso della rivoluzione che non è proletaria, ma giochista e qualunquista.
La Juve operaia non c’è, costretta da Motta a giocare al burraco e al monopoli, prendo questo, tolgo quello, in una frantumazione totale dei diritti dei titolari degradati a rincalzi. Quel Douglas Luiz, brasiliano del presidente-sindacalista Lula, non ha niente di operaio con quella testa pittata a banana. E Kolo Muani non ha più niente del sofferto Congo, francesizzatosi a Parigi. Per non parlare del filiforme Lloyd Kelly di Bristol, che si schianterebbe alla catena di montaggio, e del galiziano Gabri Veiga inadatto a una pressa.
Alla Juve non ci sono più gli operai di una volta, da Furino a Brio. C’è solo il compagno Gatti. Attorno a lui vedo topolini col gatto Motta.