A La Stampa: «Grandi livelli di professionalità, l’erba del vicino non è sempre più verde». Ora si allena con Matteo Giunta il marito della Pellegrini

Il campione olimpico dei 100 rana Nicolò Martinenghi ha rilasciato un’intervista a La Stampa (a firma Giulia Zonca) in cui ha parlato di come sta vivendo il post-medaglia.
Martinenghi: «Può fare paura specchiarsi in una medaglia»
Esiste davvero una sindrome post traumatica dopo il successo olimpico?
«Noi atleti di alto livello siamo macchine perfette. Per riuscire a toccare il meglio c’è una squadra di persone, sempre più specializzate, ad aiutarci e poi scendi da quel podio e nessuno ti può dire che cosa fare. Nemmeno chi ci è passato. Sei costretto a guardarti dentro e sei cresciuto puntando dritto a una meta, sempre quella, sempre avanti: la priorità, la stella cometa. Con la medaglia in mano cerchi il tuo riflesso, scopri chi sei davvero e può pure fare paura».
Lei ha avuto paura?
«Di non capire, sì. Sapevo già che me ne sarei andato via da casa prima di fare le valigie per Parigi e nel concetto di casa c’è tutto. Preso dal nuoto, non ho mai avuto il tempo di farmene una mia. Avevo finito un percorso, anche a livello umano: la quotidianità con la famiglia, lo stesso tecnico per quattordici stagioni, da quando ero ragazzino. Un’unica routine. Se fossi rimasto lì non avrei avuto scosse. Non c’era malanimo: io e il mio ex allenatore Marco Pedoja restiamo amici».
L’ipotesi di chiudere con l’oro le ha attraversato la mente?
«L’ho pensato, sarebbe stato un finale splendido. Poi l’ho detto ad alta voce, “smetto”, e mi è sembrato irrispettoso: per me e per il nuoto che mi ha dato tantissimo e non so lasciare nel momento in cui posso restituire qualcosa in visibilità. Ho avuto pure la prova: due mesi e mezzo di vacanza, torno in Coppa del mondo con tre allenamenti nelle braccia e so di non essere competitivo, lo stesso scatta l’agonismo. Voglio andare avanti anche se continuo a tormentarmi. Sono stanco? Fino a che insegui il sogno ogni passo è pianificato, dopo dubiti di continuo, anche delle tue potenzialità. Inutile essere ipocrita, far fatica mi dà soddisfazione. Quando ho realizzato che avrei continuato ho messo in conto che per riuscirci servivano novità. Come ha detto Hamilton alla presentazione della Ferrari per il 2025. Parola d’ordine: rigenerarsi».
Per farlo il suo amico Ceccon, gemello olimpico, oro nei 100 dorso, è andato in Australia. L’avventura non la interessa?
«Ho valutato l’ipotesi. Ma non vai dall’altra parte del mondo prima di avere un nido in cui tornare. Io me lo sto costruendo adesso per la prima volta e poi tutta questa esterofilia un po’ mi infastidisce. Sono arrivato al massimo qui, nella provincia italiana, da qui ho battuto australiani, americani, cinesi…».
Che cosa ha di speciale la provincia italiana?
Martinenghi: «Tutto quello di cui hai bisogno in pochi km. Grandi livelli di professionalità, dal fisioterapista, allo specialista, qualsiasi figura la trovi e di pregio. Il concetto di comunità immediato, facile. L’erba del vicino non è sempre più verde, poi mi verrà il gusto di un’esperienza altrove. Quando avrò fissato un indirizzo di rientro».
Come è arrivato a Matteo Giunta, marito ed ex allenatore di Pellegrini?
«Ci siamo incontrati a Roma mentre Federica era impegnata con “Ballando con le stelle”. Lui ha gestito un’atleta che ha stravolto la carriera dopo aver vinto molto. Faceva al caso mio».
Un’atleta che era abituata alle rivoluzioni.
«Sì, ma significa che a Giunta piacciono le sfide e questa, con me, lo è perché io ho annullato il Nicolò che c’era prima».