L’Udinese era il peggior avversario perché forte fisicamente. Conte deve lavorare a nuove soluzioni, come ha fatto fin qui
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La peggiore avversaria possibile
Per il Napoli di questo periodo, per la squadra che si è iniziata a intravedere all’Olimpico contro la Roma, l’Udinese era la peggiore avversaria possibile. Per un motivo molto semplice: è una delle pochissime squadre di Serie A che può gestire il duello fisico con quella di Conte. Anzi, dopo la partita di ieri sera si può anche dire che l’Udinese abbia vinto il duello fisico contro il Napoli. E così ha determinato le condizioni perché gli azzurri non riuscissero a offrire una prestazione brillante, né tantomeno solida. Alla fine, come ha scritto giustamente Massimiliano Gallo nel suo commento postpartita, a caldo, certi pareggi in certe serate sono da considerare come risultati positivi. Perché, ripetiamolo, il Napoli non è riuscito a esprimersi come avrebbe potuto. Per propri demeriti, ma anche per il modo in cui l’Udinese ha affrontato – e quindi ingarbugliato – la partita.
Per una volta, almeno per quanto concerne questo spazio sul Napolista, partiamo dal commento al risultato: l’1-1 finale è giusto a livello percettivo, nel senso che i dati accumulati dal Napoli (18 tiri, 62% di possesso palla, 1,45 gol attesi contro gli 8 tiri e gli 0,67 xG dell’Udinese) dicono che forse gli azzurri avrebbero meritato di più. Lo ha rilevato anche Conte nel postgara. Nello stesso intervento, però, l’allenatore ha riconosciuto i meriti degli avversari. In qualche modo, quindi, lo stesso Conte ha evidenziato come il dominio territoriale, l’accumulo di occasioni, di tiri, possano essere bugiardi. Possano non pagare.
Al Napoli è andata così perché, dal punto di vista puramente tecnico, molte scelte si sono rivelate inesatte. Banalmente, ma neanche troppo, si parte dal doppio errore di Juan Jesus e Mazzocchi in occasione del gol di Ekkelenkamp. Ma in realtà il vero problema è che la squadra di Conte ha faticato a costruire grandi occasioni. Soprattutto nel secondo tempo.
Il Napoli di Roma, un’Udinese tutta nuova
La scarsa quantità di palle gol vere è legata alla qualità carente in fase di costruzione e di rifinitura. Il Napoli, di fatto, si è lasciato ingabbiare da un’avversaria aggressiva e tatticamente ordinata. Forse la squadra di Conte si è anche lasciata sorprendere dalle scelte di Runjaic, che di fatto ha schierato un’Udinese tutta nuova: il tecnico tedesco ha disegnato un 4-4-2 puro, però con due esterni (Ekkelenkamp e Atta) che, oltre a sacrificarsi moltissimo in fase di ripiegamento, tendevano anche a fare densità al centro. Soprattutto quando il Napoli riusciva a superare la metà campo palla al piede, e allora anche i due centrali di centrocampo (Karlstrom e Lovric) retrocedevano a dare supporto ai difensori. Senza che questo, però, comportasse un abbassamento del baricentro.
Nello screen in alto, vediamo il 4-4-2 difensivo dell’Udinese. Sopra, invece, la squadra di Runjaic si schiera con una specie di 6-2-2 che copre tutti gli spazi e toglie la profondità col baricentro alto.
Il Napoli, da parte sua, ha approcciato la partita col suo consolidato 4-3-3. E con Mazzocchi al posto di Spinazzola/Olivera sul lato sinistro della difesa a quattro. Come visto a Roma, però, parlare di 4-3-3 in fase offensiva sarebbe un po’ fuorviante. La realtà è che Conte ha lavorato e sta insistendo molto su una sorta di 3-4-3 con Lobotka perno centrale d’impostazione, con i terzini stretti nel ruolo di mezzali e con Anguissa e McTominay che di fatto si muovono come attaccanti d’appoggio a Lukaku. Oppure, in una versione ancora più futurista, con Di Lorenzo e Mazzocchi sovrapposti – internamente, ma anche esternamente – a Neres e Politano, e con Anguissa-McTominay nel doble pivote. Come in una sorta di 3-2-5
In alto il 3-2-5 del Napoli con Anguissa-McTominay in posizione di centrocampisti. Sopra, invece, il 3-4-3 con Di Lorenzo e Mazzocchi mezzali.
Questa disposizione si è vista soprattutto nella ripresa, quando il Napoli ha tentato di esasperare la stessa dinamica che ha portato al gol di Spinazzola contro la Roma: il lancio da dietro, soprattutto di Juan Jesus, per l’inserimento lungo di Mazzocchi o di McTominay. In questo senso, i dati sono davvero eloquenti: il difensore brasiliano ha tentato il passaggio lungo in 18 occasioni, più del doppio rispetto a qualsiasi altro giocatore di movimento sceso in campo ieri sera. Di questi 18 tentativi, 9 sono andati a buon fine.
Il problema è che nessuno di questi lanci ha portato immediatamente a un’occasione da gol reale, concreta, come quella finalizzata da Spinazzola a Roma. È chiaro che sia “colpa”, diciamo così, di Mazzocchi e McTominay. Allo stesso tempo, però, vanno anche riconosciuti i meriti dell’Udinese: col suo 4-4-2 e con il grande contributo difensivo degli esterni alti, Runjaic di fatto ha disinnescato questo meccanismo tattico in modo quasi strutturale.
Pressione e intensità
Questo, però, non deve indurre a credere che l’Udinese abbia giocato una partita di contenimento, speculativa. Tutt’altro: i giocatori di Runjaic, proprio per le loro caratteristiche fisiche, hanno bisogno di venire avanti e di essere aggressivi. E l’hanno anche fatto piuttosto bene, soprattutto nei primi minuti della partita:
Cinque giocatori dell’Udinese nella trequarti difensiva del Napoli
Non a caso, viene da dire, nei primi 18 minuti il Napoli ha concesso 4 conclusioni ai suoi avversari. Di queste 4, ben 3 sono arrivate dall’interno dell’area di rigore. Sulla quarta scoccata da fuori area, che poi è stata la prima in ordine di tempo, Meret è stato bravissimo a smanacciare con la mano di richiamo. Nel frattempo anche gli azzurri sono riusciti a rispondere colpo su colpo, a mettere pressione all’Udinese e a giocare con intensità. Prima McTominay non è riuscito a dare forza a un colpo di testa a centro area, poi Politano ha impegnato Sava con un bel tiro da fuori.
Intorno alla mezz’ora, il Napoli ha mostrato il suo miglior volto: ha cominciato a muovere il pallone con velocità e quindi con imprevedibilità, ma anche in modo paziente, ragionato, cercando di disarticolare la difesa avversaria. Così sono nate le occasioni fallite da Politano e McTominay, così si è generata quella pressione che ha portato al calcio d’angolo da cui è scaturito il gol del centrocampista scozzese. La squadra di Conte avrebbe dovuto continuare a spingere, sfruttando il momento di down atletico ed emotivo dell’Udinese, dopo l’inizio a mille all’ora. E invece è venuto l’errore combinato di Juan Jesus e Mazzocchi che ha portato al pareggio di Ekkelenkamp.
Il secondo tempo
Nella ripresa, si sono manifestate le stesse identiche criticità che, a cavallo tra novembre e dicembre, avevano portato il Napoli di Conte a perdere punti sparsi. Intanto bisogna partire dalla ripetitività della manovra e dall’eccessivo ricorso a meccanismi già visti: come detto in precedenza, nei secondi 45 minuti di gioco gli azzurri hanno riproposto lo stesso identico spartito, Anzi, di fatto hanno insistito in modo ancora più marcato su quei concetti. Però senza aumentare la velocità e quindi l’imprevedibilità del giro palla. Di conseguenza, l’Udinese ha avuto vita facile nel bloccare un possesso che a un certo punto è diventato fine a sé stesso.
Da questo punto di vista, come succede quasi sempre, i dati non mentono: sempre guardando alla ripresa, la prima conclusione tentata dal Napoli è arrivata al minuto 64′. Da lì in avanti, gli azzurri hanno ricominciato ad affacciarsi in modo più costante verso l’area di rigore dell’Udinese, ma sono riusciti a costruire un solo tiro in porta: quello debole e prevedibile di Neres, facilmente contenuto dal portiere dell’Udinese. Sì, è vero: l’Udinese non ha più tentato neanche una conclusione verso la porta di Meret (sì, la squadra di Runjaic ha messo insieme 0 tiri dal minuto 55′ fino al fischio finale). Ma resta il fatto che il Napoli non ha dato mai la sensazione di poter essere davvero pericoloso. Di poter mettere in crisi o comunque in difficoltà il sistema difensivo avversario.
Tutti i lanci lunghi tentati da Juan Jesus, ma solo nel secondo tempo. Sempre dalla stessa zona di campo.
Anche se l’Udinese, col passare dei minuti, ha abbassato notevolmente il ritmo della sua pressione sui portatori di palla, il Napoli ha continuato a perdere molti duelli individuali e a essere poco fantasiosi e poco incisivi in fase di rifinitura. Non a caso, sempre guardando alla ripresa, i giocatori dell’Udinese sono andati 7 volte a contrasto e tutte le volte ne sono usciti vincitori. Quelli del Napoli, invece, hanno tentato pochissimi dribbling (3) e non ne hanno portato a termine nessuno.
I cambi di Conte (e un debunking sul concetto di stanchezza)
A quel punto, Conte è stato costretto a cambiare. E anche in modo profondo: è passato dal 4-3-3 (ma come detto in realtà sarebbe più giusto parlare di 3-4-3 in fase offensiva) al 4-2-4, inserendo Ngonge, Simeone e Raspadori al posto di Anguissa, Politano e Lukaku. Poi in seguito sono subentrati anche Gilmour e Okafor, ma il sistema di gioco del Napoli è rimasto lo stesso. Così come la prestazione offerta dagli azzurri, apparsi privi di verve, incapaci di velocizzare il gioco. Non tanto attraverso la corsa, ma proprio attraverso l’intensità e la varietà delle giocate.
Il Napoli a due punte nel finale di partita
Proprio da qui bisogna partire per fare un piccolo debunking sulla stanchezza manifestata dal Napoli. Dal punto di vista puramente fisico, i dati – che in questo caso sono empirici, quindi inoppugnabili – dicono che i giocatori di Conte hanno macinato gli stessi chilometri di quelli dell’Udinese (circa 121, secondo le statistiche della Serie A). Discorso identico anche se guardiamo all’intensità della corsa, cioè ai chilometri percorsi con un passo leggero, sostenuto o scattando: rispetto all’Udinese, tutti questi dati sono sostanzialmente pari.
E allora bisogna andare e guardare altrove. Ad altri tipi di stanchezza: quella che ti porta a correre male perché non riesce ad accelerare la manovra, a trovare la giocata in grado di rompere la difesa avversaria. Che sia un dribbling, un passaggio in grado di tagliare le linee, una pressione alta che porta a a un duello fisico e a una riconquista in zona avanzata. Ecco, queste sono le cose che sono mancate e stanno mancando al Napoli. Sia a Roma che contro l’Udinese, i gol sono arrivati su situazioni studiate e su cui Conte lavora a secco, come si dice in gergo: un lancio su un inserimento lungo, un calcio d’angolo sul secondo palo.
Al momento risulta più difficile, per Conte come per i suoi giocatori, avere un impatto più forte in situazioni dinamiche. Soprattutto quando la difesa avversaria è schierata e fa densità davanti alla propria area di rigore. In fondo, a pensarci bene, anche i due errori – perché sono due errori isolati – che hanno portato la Roma e l’Udinese al pareggio si sono verificati nel corso di azioni lunghe. Dove era necessario tenere alta sia la concentrazione che la lucidità.
Conclusioni
Non c’è molto altro da aggiungere. Se non che Conte, per tante ragioni, in questo momento sta spremendo al massimo le risorse della sua rosa. È anche una questione di sfortuna, in fondo Mazzocchi deve essere considerato il terzino sinistro numero tre nelle gerarchie del Napoli. Sono gli infortuni dei due titolari, Olivera e Spinazzola, a portarlo in campo. Stesso discorso per Juan Jesus, che di fatto è l’alternativa a Buongiorno come lo era di Kim Min-jae. E che, questo bisogna riconoscerlo, da quando va in campo è stato sempre impeccabile. Tranne nel momento in cui, di fatto, ha tolto la palla a Meret e ha dato il via all’azione del gol di Ekkelenkamp.
Il discorso è un po’ diverso per Anguissa, per Politano, per Lukaku, per David Neres: giocatori per cui Conte avrebbe anche delle alternative, ma a cui lo stesso Conte non vuole rinunciare. Quantomeno dal primo minuto. È una scelta anche comprensibile, in fondo pure Spalletti nell’anno dello scudetto non è che abbia mai allestito un vero e proprio turn over. E aveva anche la Champions League. Ora, però, bisogna capire se questo calo prestazionale sia frutto di un semplice down fisiologico – in fondo, come detto dallo stesso Conte, il Napoli era reduce da sette vittorie consecutive – oppure abbia una natura diversa. Più tattica, più tecnica, più mentale che fisica.
Da questo punto di vista, quello contro la Lazio sarà un test importante. Perché parliamo di una squadra che gioca ad altissima intensità, che ha battuto già due volte il Napoli in questa stagione, ma che ha caratteristiche diverse rispetto a quelle dell’Udinese. Per una partita del genere, sarà importante che Conte ritrovi la brillantezza offensiva smarrita nell’ultima settimana. Sta a lui capire/stabilire se potrà farlo ripartendo dagli stessi uomini, dagli stessi concetti. Oppure servirà che si inventi qualcosa di diverso, di nuovo. Quest’anno ci è già riuscito diverse volte, ed ecco perché il Napoli è ancora in testa alla classifica.