Alla Gazzetta: «Il mio Parma era una famiglia. Io ero il papà: buono quando dovevo esserlo, e severo se ve n’erano i motivi. Ho rifiutato il Real due volte»

Nevio Scala è stato giocatore, allenatore e presidente. Eppure, come testimonia nell’intervista alla Gazzetta, il suo momento di massima felicità è stato quando ha acquistato i terreni dove con suo padre lavorava da ragazzo.
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Nevio Scala: «Il mio Parma era una famiglia»
Lei arrivò al Milan nel 1963.
«Avevo quindici anni. Mia madre Regina mi accompagnò fino a Milanello e quando mi lasciò fu un distacco terribile. Ero un ragazzino che non aveva mai visto una grande città. non conoscevo nulla del mondo. andavo a scuola a Verese, sveglia alle cinque e mezzo del mattino, lezioni e poi allenamenti. Il lunedì, però, che era il giorno libero, tornavo sempre qui al mio paese. Non potevo stare lontano dai miei campi».
Fu un campione in panchina. Con il Parma soprattutto.
«E come si possono dimenticare quei sette anni trascorsi là? Promozione della B alla A nel 1990, qualificazione in Coppa Uefa nel 1991, vittoria della Coppa Italia nel 1992, vittoria della Coppa delle Coppe nel 1993, vittoria della Supercoppa Europea nel 1994, vittoria della Coppa Uefa nel 1995. Un ciclo irripetibile che si basava su una sola parole: la semplicità».
In che senso?
«Il mio Parma era una famiglia. Io ero il papà: buono quando dovevo esserlo, e severo se ve n’erano i motivi. Posso raccontarvi un aneddoto?».
Prego:
«Vigilia della finale di Coppa delle Coppe a Wembley. La società mi faceva pressioni perché facessi giocare Asprilla che era tornato dalla Colombia dopo un infortunio extracalcistico. Io avevo già deciso di tenerlo in panchina. Però vedevo che Osio e Cuoghi, i due che rischiavano il posto, erano molto nervosi. Così decisi di prenderli da parte, li tranquillizzai e dissi loro: “I titolari siete voi, non si discute”. Osio giocò una partita meravigliosa e Cuoghi segnò il gol del 3-1. Mi comportai da papà, in quell’occasione, ed ebbi ragione».
Sa che passerà alla storia del calcio anche per aver detto due volte no al Real Madrid?
«Lo so, lo so… La prima volta mi contattarono all’inizio degli anni Novanta. non avrei mai potuto lasciare Parma e, soprattutto, avevo un legame fortissimo con la famiglia Tanzi. E poi il Real tornò alla carica nel 1999, ma non mi convinceva il progetto».
Come visse il crac della Parmalat?
«Dall’esterno, ma con immensa tristezza. Ho sempre avuto il rimpianto di non essere mai andato a salutare il cavalier Calisto. Non ne ho avuto il coraggio. Lui ha sbagliato, e ha pagato. Ma resto convinto che, in quell’occasione non fu l’unico responsabile».