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Nicola Berti: «Alle mie feste venivano anche quelli del Milan. I tifosi dicevano che io e Serena stavamo insieme»

Al Corsera: «L’Inter mi faceva pedinare, per punizione mi mandava in ritiro negli alberghi per camionisti. Da ragazzino vendevo ricotte. Sacchi uno “str…” tra virgolette»

Nicola Berti: «Alle mie feste venivano anche quelli del Milan. I tifosi dicevano che io e Serena stavamo insieme»
Db Milano 25/04/2015 - campionato di calcio serie A / Inter-Roma / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Nicola Berti

“Nel Mondiale del 1982 io impazzivo per il Brasile”. Nicola – Nicolino – Berti è stato un calciatore poco calciatore. Di quelli che mai sono trattenuti, trincerati nella triste retorica delle frasi fatte. Ha sempre parlato un sacco. E così procede in una bella intervista al Corriere della Sera.

Nella finale Mondiale del 1994 doveva tirare un rigore… “Contrariamente a quanto si pensa mi ero candidato per calciare il rigore, ma Sacchi mi saltò. Mi consolai per la sconfitta andando a San Diego con i miei amici brasiliani”. Aveva un appartamento a New York: “L’avevo comprato un anno e mezzo prima ed era fighissimo. Ma quello “stronzo” di Sacchi, mi raccomando lo scriva tra virgolette, nel giorno di riposo ci dava libertà dalle 11 alle 23, quindi ci toglieva la serata. Però due-tre chiamate per fare festa al pomeriggio coi miei compagni forse le ho fatte”.

“Ero uno serio, anche se fumavo il cubano in camera di Baresi. La gente non sopporta di vedere uno che si diverte. Anche ai miei compagni davo un po’ fastidio a volte, perché guadagnavo tanto, sorridevo sempre, e mi permettevo di andare a bere una birra al pub, anche due. E qualche volte è capitato che alla domenica sbagliassi la partita. Ma non ho mai esagerato. Cioè, una sera fatta bene ogni tanto la facevo. Ma una ogni tanto”.

La Milano da bere, se la beveva: “Milano era bellissima. In quell’appartamento sono rimasto nove anni: duecentocinquanta metri quadri, con terrazza sul Duomo, se i muri potessero parlare… Ma appunto, non è che si faceva festa tutti i giorni, anche perché organizzare per cento persone non era una cosa così semplice. Il festaiolo ero sempre io, ma c’erano tanti compagni e tanti milanisti. Veniva anche Vialli da Torino”.

La Fiorentina lo aveva già venduto al Napoli, ma si rifiutò e volle l’Inter.  “Ero già in Nazionale e si scatenò l’asta. Erano tutti a Salsomaggiore per me: Moggi, Boniperti, Galliani, Beltrami dell’Inter. Il rialzo nerazzurro arrivava sempre di notte e finii per guadagnare più di Bergomi, Ferri e Zenga messi insieme. Vincemmo subito lo scudetto dei record e l’asse fondamentale era Brehme, Berti, Serena”.

La moglie “conosciuta a Saint Barth, era la direttrice del ristorante più bello dell’isola. È francese, di origine algerina. Sapeva che ero un ex calciatore, ma in quel periodo pesavo centodieci chili e giravo con lo scooter e il sigaro. Avevo progettato di andare lì a vivere, perché sapevo che l’adrenalina mi sarebbe mancata da morire. Ai Caraibi sono rimasto cinque anni e ho tenuto la casa: ho ammortizzato così l’addio al calcio”.

All’Inter lo pedinavano: “Poi mi convocavano in sede, mostrandomi dove ero stato. In un periodo storto mi mandarono per punizione una settimana a San Pellegrino Terme da solo con il preparatore, in un albergo per camionisti: non c’era neanche la tv in camera”.

Gli interisti le perdonavano tutto? “No. Dopo una sconfitta con la Samp a San Siro mi avevano puntato. Allora ho chiesto ad Eriksson se mi ospitava nel pullman doriano per uscire dallo stadio. E mi sono disteso fra i sedili…”.

“I milanisti dicevano che io e Aldo Serena eravamo una coppia: la gelosia è una brutta bestia. Mi sono goduto le cose e l’ho fatto in maniera del tutto consapevole: c’erano ottantamila persone che cantavano ‘Nicola Berti, facci un gol’. A me, un centrocampista, uno che da ragazzino vendeva le ricotte nei mercati: pura emozione”.

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